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mercoledì 23 giugno 2010

Orgoglioso di questa intervista, davvero.

Massimo Filippi
Leonardo Caffo

Occhiali rossi e All Star slacciate, area da ragazzino. Massimo Filippi ha mille facce sovrapposte e solo un occhio attento può osservarle e capirle tutte. Neuoroscienziato del S. Raffaele di Milano, esperto delle moderne tecniche di neuroimaging, professore universitario e filosofo attento alle tematiche etiche riguardanti umani ma soprattutto animali. L'ho incontrato presso l'Università di Milano, e ho parlato con lui di animali, di morte, di Filosofia.
Partiamo dall’inizio. Il titolo del tuo libro Ai confini dell'umano - Gli animali e la morte mette in relazione cose che, per un lettore inesperto, appaiono molto distanti: umano, animali e morte. Puoi spiegarci in breve il motivo di questa scelta?
Il libro, come recita il titolo, rappresenta un tentativo di riconsiderare i confini dell’umano. Poiché tradizionalmente l’umano è sempre stato declinato come ciò che sorge dopo che gli animali e la morte sono stati esclusi o negati, ecco che la relazione tra i tre termini non dovrebbe più apparire eccessivamente esoterica. A ben pensarci, infatti, gli animali e la morte stabiliscono quelli che sono i sono i consolidati confini spaziali (gli animali) e temporali (la morte) dell’umano, i quali nel momento stesso in cui vengono posti sono subito revocati: in tutti i racconti cosmogonici – o, almeno, in quelli “occidentali” – l’umano è ciò che è radicalmente non-animale e quindi di fatto immortale. Dal che discende che il modo in cui definiamo l’animale e la morte determina immediatamente ciò che pensiamo essere l’umano. Detto altrimenti, quello che qui si tenta di fare è tutt’altro che un semplice esercizio accademico perché l’esclusione degli animali e della morte dall’umano non sono mai state operazioni innocenti; è sotto gli occhi di tutti il fallimento della nostra cultura basata su tale operazione: la morte rimossa ritorna come morte istituzionalizzata, come nuda vita, così come l’animale rimosso ritorna come bestialità della società umana.


La tradizione animalista in filosofia ha già prodotto numerosi testi. Perché il tuo dovrebbe contribuire ad ampliare, non solo quantitativamente, ma anche concettualmente questo filone?
In parte per i motivi detti poc’anzi. L’antispecismo “classico” – quello di Peter Singer e Tom Regan, per semplificare e per capirci – pensava di ridefinire l’animale senza toccare lo statuto dell’umano, operando così in una sorta di vacuum ontologico e politico, forse responsabile della sua scarsa “presa” sia a livello filosofico che a livello di opinione pubblica generale. In altri termini, l’antispecismo “classico” accettava di fatto le premesse della metafisica occidentale e si impegnava a ricercare tracce umanoidi (psichiche/cognitive) in (almeno) alcuni animali per farli entrare nel cerchio della considerazione morale. In questa prospettiva l’animale resta una sorta di umanoide incompiuto. Qui si cerca invece di spostare l’enfasi dalla somiglianza alla differenza, iniziando a rintracciare un percorso nuovo per individuare che cosa ci condivide prima di ogni possibile divisione. E ciò che ci condivide, pur lasciandoci differenti, è la vulnerabilità corporea e la mortalità.


Che cos’è l'antispecismo? E, nello specifico, cosa vuol dire vivere da antispecisti?
Per definire cosa sia l’antispecismo, dobbiamo prima definire cosa si intende per specismo. Specismo è un termine coniato a metà degli anni ’70 del secolo scorso e sta ad indicare un pensiero e un atteggiamento pratico tali per cui gli interessi degli individui della propria specie – anche i più futili e non necessari – prevalgono sempre e comunque su quelli di individui di altre specie, compresi quelli più fondamentali, quali l’interesse a vivere, a non soffrire e alla libertà. L’evidenza empirica ormai non lascia più margine al dubbio sul fatto che gli animali abbiano degli interessi e siano in grado di provare piacere e dolore; il nostro pensiero, pertanto, non può che rimodellarsi sulla base di tali acquisizioni che, da Darwin in poi, sono venute costituendosi come una massa tale da essere difficilmente ignorabile. Solo per fare un esempio ogni anno circa 50 miliardi di animali non umani – senza contare quelli di piccola taglia, tipo conigli e molti pesci che sono venduti a tonnellaggio – passano per il sistema “allevamento intensivo – mattatoio” dove, dopo una vita miserabile caratterizzata da sofferenze inaudite, vengono letteralmente fatti a pezzi per questioni di gusto. E a ben pensarci l’alimentazione è solo una parte del problema: l’intera nostra società si fonda teoricamente e materialmente sulla sofferenza e sulla morte degli animali, dal modo in cui ci vestiamo a quello in cui facciamo ricerca scientifica. Vivere da antispecisti allora vuol dire aver ben chiaro che esiste una violenza “naturale”, cu cui possiamo ben poco, e una violenza istituzionalizzata, che invece dobbiamo rigettare. Vivere da antispecisti significa, da un lato, optare per una vita che si impegni ad eliminare dal mondo quanta più sofferenza possibile, diventando vegani e rifiutando ogni prodotto di derivazione animale e, dall’altro, far chiarezza sul fatto, come si alludeva in precedenza, che oppressione animale e oppressione umana sono inestricabilmente correlate e che, quindi, non è possibile pensare di passare da presunzioni gerarchiche a favore di presunzioni ugualitarie senza considerare l’animale, pena la ricaduta in qualche altra forma di illibertà e di sfruttamento.


Nel tuo libro parli di due diverse tradizioni filosofiche che fanno da sfondo alla questione animale: quella analitica e quella continentale. Che differenze ci sono, puoi spiegarcelo in breve?
Nella modernità, la “questione animale” – ossia, come si diceva in precedenza, l’abuso sistematico e istituzionalizzato dei corpi degli animali in proporzioni quantitative inaudite e con un livello di sofferenza neppure lontanamente concepibile – è stata riportata alla luce e alla considerazione della filosofia da parte di autori anglosassoni di stampo analitico. Questi autori hanno offerto una nutrita serie di proposte etico-politiche a favore del miglioramento della condizione animale, senza però prospettare una via d’uscita dalla dicotomia occidentale tra spirituale e corporeo ossia, come si diceva, ritenevano di poter inserire gli animali nella sfera della considerazione morale senza mettere in questione lo statuto dell’umano. Al contrario, la “grande” tradizione filosofica continentale, da Platone a Heidegger, pensa di poter parlare dell’umano “fingendo” che l’animale non esista o che esista solo come referente negativo sul quale l’umano si costituisce dopo averlo dismesso. Esistono, però, autori continentali che si smarcano da questa prospettiva (penso soprattutto a Nietzsche, Adorno, Derrida e Deleuze) che, affrontando radicalmente il senso dell’opposizione umano/non umano, forniscono solide basi per una “riabilitazione” dell’animalità che investa nel profondo anche ciò che si dice “umano”. Purtroppo, però, quest’altra linea di pensiero sembra dimenticarsi del dolore presente, non offrendo così proposte etico-politiche alla “questione animale” o, nel momento in cui lo fa, queste sono così “deboli” da essere prive di conseguenze pratiche o addirittura contraddittorie rispetto alla precedente decostruzione dell’antropocentrismo. Uno degli aspetti di questo libro, forse uno dei più importanti, è proprio quello di cercare di far dialogare queste due tradizioni di pensiero, cercando da un lato di “fondare” l’animalismo su solide basi filosofiche senza togliergli, dall’altra, il suo “mordente” sociale.


Ho individuato alcune parole chiave nel tuo libro, ad esempio, “inumano”, “sacro”, “aporia”, “linguaggio”. Puoi mostrarci brevemente come questi termini apparentemente lontani siano in realtà connessi tra loro?
Le parole chiave da te individuate sono in effetti le parole chiave del libro, ne costituiscono l’innervatura, lo scheletro e il tessuto connettivo. Proprio per questo è difficile mostrare come siano tra loro interconnesse: se davvero dovessi farlo dovrei riscrivere tutto il libro. Ma, in questo caso, non potrei essere breve! Proverò un’altra strada, forse, un po’ oscura, ma spero suggestiva per sollecitare alla lettura del saggio. “In-umano” è un modo di avvicinarsi e concepire l’umano senza rigettarlo, un modo, come scrivo, per cominciare a pensare ad un racconto più benigno dell’umano. In-umano significa provare ad intessere un discorso intorno all’umano – quindi non un altro discorso dell’uomo sull’uomo – che riconosca che non esiste un proprio dell’umano, che questo è preceduto, attraversato e sopravanzato, dal mostruosamente Altro, da ciò che tradizionalmente abbiamo considerato come il più improprio: gli animali e la morte, appunto. Se l’umano è letteralmente “parassitato” e “contagiato” dal non umano, si apre lo spazio di pensabilità per un nuovo concetto di “sacro”, dove ciò che conta non è più solo ed esclusivamente la nostra vita dal concepimento alla morte “naturale, il tutto a spese della vita degli altri, ma piuttosto la sacralità di quel piano di immanenza, che genericamente chiamiamo “vita” e che, forse, dovrebbe essere declinato come “con-fine”, con-finitezza e con-finitudine – un modo più benigno per dire “confine”. Un sacro quindi che, riconosciuta l’inestricabile “ragnatela” del “tra” delle vite, non si fondi più sul sacrificio ma piuttosto su un sostare paziente e pacificato. E qui interviene il termine “aporia” che è l’accettazione dell’impossibilità del nostro pensiero di risolvere tutte le contraddizioni che, necessariamente, richiama quello di “perire”, che non significa solo “morire”, ma anche “per-ire”, in questo senso, “per-ire” è illuminante nello stesso modo in cui lo è la luce, che rende possibile la visione, restando essa stessa impercettibile – ossia girare intorno, sostando in un luogo, luogo dove si cammina, si passa e si tra-passa. Credo che a questo punto ci sia poco da aggiungere sulla parola chiave “linguaggio”. Il nostro linguaggio è formato dallo specismo, intriso di specismo e retroagisce sul nostro modo di pensare radicalizzando l’esclusione dell’animale: non a caso il linguaggio ha spesso costituito quel confine insuperabile che abbiamo posto tra noi e il resto del vivente, non a caso esso si è spesso dato come una forma laica di immortalità. Da qui la difficoltà di affrontare i temi di cui abbiamo discusso con il linguaggio che abbiamo a disposizione, da qui la necessità di trovare “inciampi” nel linguaggio che gli facciano restituire la voce animale e mortale che esso tenta di occultare ma che è ancora lì presente e aspetta di essere riportata alla luce.


Cosa ti auspichi in futuro per gli animali ...e per gli umani?
Certamente mi auspico per entrambi un futuro liberato, privo di oppressione, sfruttamento e violenza istituzionalizzata. Ma non chiedermi di più, non chiedermi, come direbbe Montale, “la parola che squadri da ogni lato”. Seguendo, infatti i pensatori della Scuola di Francoforte, poiché la liberazione deve essere realizzata nell’ambito del processo storico da parte di soggetti intrecciati alla dissoluzione della società di cui essi stessi sono parte, non è possibile fornire orientamenti concreti per l’azione sociale. Come afferma Horkheimer: “Si può dire che cos’è male nella società data, ma è impossibile dire quale sarebbe [...] il bene, si può solo lavorare perché il male infine scompaia”. Il che non è poi molto diverso da quanto sostiene anche Günther Anders: “Liberarsi dell’infelicità che può essere eliminata è più urgente della discussione sulla felicità”. Anzi, a ben vedere, “la discussione sulla felicità” è la modalità con cui l’esistente, distogliendo l’attenzione dall’“infelicità che può essere eliminata”, perpetua l’oppressione. Per dirla con Bloch, è nell’oscurità dell’istante vissuto che la funzione utopica, negando ciò che è, apre il cammino a ciò che può essere, sfuggendo all’immobilità del presente.


Un’ultima domanda. Personale ma in fondo connessa al tema fondante del tuo libro. Che rapporto hai tu con la morte? La dedica iniziale del tuo libro è commovente e misteriosa… ci sveli qualcosa?
Derrida afferma che all’animale non tanto abbiamo negato la facoltà di parlare quanto la possibilità di risponderci. E ciò che caratterizza la possibilità di rispondere è che questa preveda sempre la possibilità della non risposta, la possibilità di sottrarsi alla domanda: se dovessimo rispondere sempre, infatti, non risponderemmo nel senso di “rispondere a” e di “rispondere di”, ma avremmo a che fare con degli automatismi. Ecco, mi piace concludere questa intervista non rispondendo alla prima delle due ultime domande e lasciando almeno parzialmente intatto il mistero della dedica. Posso solo dirti che si tratta di un cane femmina che ho incontrato per caso, dopo che verosimilmente era stata abbandonata, un agosto di tanti anni fa che ho amato profondamente, con la quale ho condiviso un lungo tratto della mia vita e che è morta, insegnandomi molto, nei mesi in cui stavo scrivendo questo saggio. Spero con questo di non aver svelato troppo il mistero di questa dedica, perché svelare i misteri, non esitare là dove gli angeli lo farebbero, è parte di proprio di quella hybris umana da cui qui si vorrebbe prender congedo.

Nell'albergo di Adamo. Su Mangialibri, appena sfornato!

Nell'albergo di Adamo
Leonardo Caffo
voto
I rapporti tra filosofia e questione animale sono complessi e non è facile chiarire le dinamiche attraverso cui si è sviluppata la letteratura scientifica che cerca di coniugare - o meglio di fondere - queste due categorie. Questo volume curato da Massimo Filippi e Filippo Trasatti rappresenta un fenomeno articolato in cui dodici autori (due dei quali sono anche i curatori del testo stesso), divisi in gruppi da tre, si passano un testimone filosofico (talvolta scientifico) per discutere il loro modo di approcciarsi ai problemi inerenti alla questione animale. Leggendo il testo si ha l'impressione di partecipare ad un enorme esperimento mentale (in tedesco Gedankenexperiment, termine coniato dal fisico e chimico danese Hans Christian Ørsted, è un esperimento che non si intende realizzare praticamente, ma viene solo immaginato: i suoi risultati non vengono quindi misurati, ma calcolati teoricamente in base alle leggi della Fisica) in cui si attraversa un albergo molto particolare. Come tutti gli alberghi che si rispettino, anche questo ha una hall (a cui si può accedere solo dopo aver letto un avviso degli albergatori): il viaggiatore (lettore) che si addentrerà in questo albergo potrà ascoltare le opinioni filosofiche di tre personaggi, Carol J. Adams, Vinciane Despret e Roberto Marchesini che avranno il compito di guidarci attraverso le stanze dell'albergo, che scopriremo poi essere stanze molto diverse tra loro ma con vista sullo stesso mare. Le stanze del nostro albergo sono cinque, così come sono cinque gli inquilini: la prima stanza è abitata da Enrico Giannetto che, nonostante la veste scientifica, sceglie di raccontarci una storia che riguarda Heidegger e il Carnologofallocentrismo; inoltrandoci lungo i corridoio dell'albergo possiamo bussare nella stanza di Matthew Calarco che ci metterà di fronte al volto animale: dipenderà probabilmente dalla nostra reazione la permanenza in questa stanza. Proseguendo il nostro cammino ci imbatteremo nella terza stanza al cui centro, seduto su una sedia che sa di disperazione, troveremo Gianfranco Mormino che, quasi in un vicolo cieco, ci racconta la normale sacrificabilità dell'animale. Rimangono due stanze da visitare: nella penultima Filippo Trasatti mostra il processo filosofico del divenire - animale già esplicitato da Deleuze e, dulcis in fundo, nell'ultima stanza Zipporah Weisberg ci farà promesse mostruose...
Arrivati a questo punto, probabilmente, viene voglia di fuggire. Si cercano le uscite di sicurezza: inaspettatamente sono quattro ma tutte protette da quattro personaggi inquietanti, perché portatori di verità che potrebbero intrappolarci nell'albergo; Marco Maurizzi, Massimo Filippi, Melanie Bujok e Ralph R. Acampora ci sbarrano, ognuno, la propria porta, che rappresenta per noi l'unico modo di uscire dalle nefandezze dell'albergo ma per loro la consapevolezza terribile che qualcuno in quell'albergo ci rimarrà per sempre per volere di colui che biblicamente
rappresenta tutti: Adamo, colui che attraverso la nominalizzazione degli animali li ha trasformati in cose per volere divino. A questo punto la tristezza del viaggiatore sembra irrimediabile, ma una luce da una finestra lontana gli illumina lo sguardo: una possibilità per liberare gli inquilini dell'albergo esiste ancora, e il primo passo è proprio visitare la loro prigione.

mercoledì 16 giugno 2010

Libertà, questa sconosciuta.


Ieri il Senato ha approvato il cosiddetto pacchetto sicurezza (D.d..L. 733) tra gli altri con un emendamento del senatore Gianpiero D'Alia (UDC) identificato dall'articolo 50-bis: /Repressione di attività di apologia o istigazione a delinquere compiuta a mezzo internet; la prossima settimana Il testo approderà alla Camera diventando l'articolo nr. 60. Il senatore Gianpiero D'Alia (UDC) non fa parte della maggioranza al Governo e ciò la dice lunga sulla trasversalità del disegno liberticida della"Casta" In pratica in base a questo emendamento se un qualunque cittadino dovesse invitare attraverso un blog a disobbedire (o a criticare?) ad una legge che ritiene ingiusta, i /providers/ dovranno bloccare il blog. Questo provvedimento può far oscurare un sito ovunque si trovi, anche se all'estero; il Ministro dell'Interno, in seguito a comunicazione dell'autorità giudiziaria, può infatti disporre con proprio decreto l'interruzione della attività del blogger, ordinando ai fornitori di connettività alla rete internet di utilizzare gli appositi strumenti di filtraggio necessari a tal fine. L'attività di filtraggio imposta dovrebbe avvenire entro il termine di 24 ore; la violazione di tale obbligo comporta per i provider una sanzione amministrativa pecuniaria da euro 50.000 a euro 250.000. Per i blogger è invece previsto il carcere da 1 a 5 anni per l'istigazione a delinquere e per l'apologia di reato oltre ad una pena ulteriore da 6 mesi a 5 anni perl'istigazione alla disobbedienza delle leggi di ordine pubblico o all'odio fra le classi sociali. Con questa legge verrebbero immediatamente ripuliti i motori di ricerca da tutti i link scomodi per la Casta ! In pratica il potere si sta dotando delle armi necessarie per bloccare in Italia Facebook, Youtube e tutti i blog che al momento rappresentano in Italia l'unica informazione non condizionata e/o censurata. Vi ricordo che il nostro è l'unico Paese al mondo dove una/media company/ ha citato YouTube per danni chiedendo 500 milioni euro di risarcimento. Il nome di questa /media company/, guarda caso, è Mediaset. Quindi il Governo interviene per l'ennesima volta, in una materia che, del tutto incidentalmente, vede coinvolta un'impresa del Presidente del Consiglio in un conflitto giudiziario e d'interessi. Dopo la proposta di legge Cassinelli e l'istituzione di una commissione contro la pirateria digitale e multimediale che tra poco meno di 60 giorni dovrà presentare al Parlamento un testo di legge su questa materia, questo emendamento al "pacchetto sicurezza" di fatto rende esplicito il progetto del Governo di /normalizzare/ con leggi di repressione internet e tutto il istema di relazioni e informazioni sempre più capillari che non si riesce a dominare.Tra breve non dovremmo stupirci se la delazione verrà premiata con buoni spesa! Mentre negli USA Obama ha vinto le elezioni grazie ad internet in Italia il governo si ispira per quanto riguarda la libertà di stampa alla Cina e alla Birmania.Oggi gli unici media che hanno fatto rimbalzare questa notizia sono stati il blog Beppe Grillo e la rivista specializzata Punto Informatico. Fate girare questa notizia il più possibile per cercare di svegliare le coscienze addormentate degli italiani perché dove non c'è libera informazione e diritto di critica il concetto di democrazia diventa un problema dialettico.

lunedì 14 giugno 2010

Pensieri, a Catania




"Mi trovo nella piazza del Duomo sterminata nel sole di mezzogiorno che dritto picchia le sue saette rossigne sul dorso di lava del monumento all'Elefantino; mi piace quell'elefantino sempre sonnacchioso e indifferente sia al traffico infernale del giorno, sia alla quiete paurosa della notte. In quell'ora poi che tutte la saracinesche si abbassano furiose una dopo l'altra creando come all'Opera un gran finale di piatti e strumenti a percussione, lui per un attimo agita la proboscide per poi ricadere nel suo sonno perenne di calura"
(Goliarda Sapienza. Io, Jean Gabin, Einaudi 2010)

martedì 8 giugno 2010

C'era una volta l'informazione. Forse si, oggi sicuro no.


Anche oggi, ci si è svegliati con una bella notizia. Che bello, siete contenti? Gli israeliani che, voci di corridoio, dicono intolleranti ai seguenti oggetti : ago e filo, gomme per cancellare, libri, stoviglie, coperte, occhiali, sedie a rotelle e farmaci hanno pensato, con stile va detto, di assaltare una nave aiuti … è strage. Che cazzo volevano ’sti attivisti pro – palestina? Netanyhau: pieno appoggio ai militari.Appunto, pieno appoggio. 1o morti. 4 Italiani a bordo. Per dirla con Alfredo Mantica (sottosegretario agli esteri) ”Se la sono cercata”.
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Alle 17.29, a palazzo Madama è in corso la discussione del ddl intercettazioni. Siete contenti? Così la gente la smette di intercettare povere persone. Protezione civile e puttane … “Dove sono finiti i preservativi?”. Berlusconi e le richieste di masturbazioni alla Daddario“Toccati un po’, dai”. Che vi frega? Che male c’è? Potrà o no uno portare delle zoccole in un palazzo di stato e scoparsele predicando i valori cristiani, o no? Ah, poi il cognato di Bertolaso deve lavorare no? Famolo lavora a L’Aquila.
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Piazzale Loreto … dove c’è ancora tanto posto.
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A Verona un ragazzo uccide il padre e lo getta nel cassonetto. Riciclaggio.
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Una madre butta la figlia dalla finestra. Mancava l’ascensore.
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Un gay, ma chiamiamolo pure “ricchione del cazzo”, è stato picchiato di fronte al Colosseo. Gladiatori ritornano.
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(il saggio più venduto della settimana è di Diego Fusaro. Bentornata ignoranza)
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Mourinho è al Real. Questo mi consola … è la notizia più cliccata.
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Il direttore del TG5 è un grande. Sapete perché? Con la crisi ha rinunciato ai vini francesi a favore di quelli italiani. E’ bello avere compagnia quando si soffre.
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Bettega lascia la Juve. Era un bomber.
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Il sindaco di Racalmuto confessa: “Troppo stress. Ho fatto uso di Droghe”. Brav’uomo. (ma non si andava in galera?)
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I preti continuano ad incularsi i bambini (questa è scritta con coraggio ed ho paura). Sarà mica così che lo spirito santo ha fecondato la Madonna. AH … ecco perché osso sacro.
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Hanno ucciso un Rumeno a sprangate per 50 euro. Con 100 potete comprare il pacchetto “Olocausto”.
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(se Elio Geramano è intellettuale io sono Dio)
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Come finire quest’articolo … ah già, quel pirla di Derrida. Ora me lo sparo. Pronti?
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“La vita è l’origine non rappresentabile della rappresentazione” (da La scrittura e la differenza – Einaudi, Torino, 1990, traduzione di G. Pozzi)
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{Tutto ciò che avete letto viene da notizie reperibili sui quotidiani. Davvero? Si, davvero}

lunedì 7 giugno 2010

The Brain Functional Networks Associated to Human and Animal Suffering Differ among Omnivores, Vegetarians and Vegans

PloS ONE per l'articolo completo. Clicca qui

Introduction

Social cognition includes mental processes necessary to understand and store information about the self and other persons, as well as interpersonal norms and procedures to navigate efficiently in the social world [1]. Basic abilities underlying social cognition include the perception and evaluation of social stimuli, the integration of perceptions with contextual knowledge, and finally the representation of possible responses to the situation. One of the hallmarks of social cognition in humans is the ability to understand conspecifics as beings like oneself, with intentional and mental lives like one's own [2]. Accordingly, human beings tend to identify with conspecifics and attribute mental states to them. Such abilities rely on the activity of several brain regions, including the frontal lobes (orbitofrontal cortex, medial prefrontal cortex, and cingulate cortex), the temporal lobes (including the amygdala), the fusiform gyrus, and the somatosensory cortices[3], [4], [5]. The majority of these regions is also critically involved in the processing of emotions [6]. This suggests that the merging between emotions and feelings experienced by oneself and those perceived in other individuals may be a key ingredient of social understanding, and it may play a major role in promoting empathy, prosocial behaviours, and moral norms [1], [3]. Moreover, empathic responses can be modulated by the subjective attitude held toward suffering individuals [7], as well as by personal experience [8]. Several functional magnetic resonance imaging (fMRI) studies showed that observing the emotional state of another individual activates a neuronal network involved in processing the same state in oneself, whether it is pain, disgust, or touch[3], [4], [5]. Empathy toward another person, which can be defined as the ability to share the other person's feeling in an embodied manner, has been related to recruitment of a network mostly including the somatosensory and insular cortices, limbic regions and the anterior cingulate cortex (ACC). Whereas cognitively inferring about the state of other person (known as theory of mind) has been associated with recruitment of medial prefrontal regions, the superior temporal sulcus and the temporo-parietal junction[4].

A few investigations have also assessed whether affective links between people modulate their brain empathic responses to others, such as when these are loved ones or strangers[9], or when they are believed to be fair or unfair persons [7], [9]. The majority of previous studies attempting to characterize empathy-related responses did not separate empathy towards humans from that towards animals. Furthermore, in some studies, scenes showing animals were treated as a neutral condition. However, a recent study [10] that compared stimuli depicting human and non human animal targets demonstrated higher subjective empathy as the stimuli became closer in phylogenetic relatedness to humans (mammalianvs. bird stimuli), thus indicating that empathic response towards humans may generalize to other species.

In this study, we postulated that the neural representation of conditions of abuse and suffering might be different among subjects who made different feeding choice due to ethical reasons, and thus result in the engagement of different components of the brain networks associated with empathy and social cognition. In details, we tested the hypothesis that the neural processes underlying empathy in vegetarians and vegans may not only operate for representations about humans but also animals, and thus vary between them and omnivore subjects. Vegetarians and vegans, who decided to avoid the use of animal products for ethical reasons, have a moral philosophy of life based on a set of basic values and attitudes toward life, nature, and society, that extends well beyond food choice. The earliest records of vegetarianism as a concept and practice among a significant number of people was closely connected with the idea of nonviolence towards animals and was promoted by religious groups and philosophers. The term veganism, which was coined from vegetarianism, acknowledges the intrinsic legitimacy of all sentient life and rejects any hierarchy of acceptable suffering among creatures. Veganism is a lifestyle that seeks to exclude the use of animals for food, clothing, or any other purpose [11]. The central ethical question related to veganism is whether it is right for humans to use and kill animals. Due to these differences of believes and behaviours, we also hypothesized that, in addition to a common shared pattern of cortical processing of human and animal suffering, vegetarians and vegans might also have functional architecture differences reflecting their different motivational factors and believes.

domenica 6 giugno 2010

Ah, il martini.


Tutto comincia così per caso

Per caso smette e per caso evolve. Si vive insieme si muore da soli. Funzioni associano a stati di cose fisiche, fenomeni ed oggetti sociali. Costituiscono la realtà. Il linguaggio performa la realtà … "Fai questo…" "Fai quello…". Tutto scorre, come il martini delle ultime sere.

Ah, il martini.

Si sta li, si guarda tutto con attenzione, ci si distrae apposta per non sapere anche se, si sa. Il mondo fuori muore, animali macellati, bambini sfruttati e guerre inutili volte ad arraffare un liquido nero. Sono morti i pacifisti, sono morti.

(io adoravo la bandiera della pace … tutte quelle strisce)

Ma siamo qui, nuovamente. Soli sul cuor della terra, trafitti da un raggio di sole ed è subito sera. No, è di Quasimodo, non posso farlo.

Le mura della città sono alte e tutto coprono. Ci coprono, ci oscurano … ci piace, si. A me piace assai. Mi sento protetto, quando fuori pure piove, quando fa caldo. Fare l'intellettuale con il manifesto. La domenica.

Masturbatevi, vi fa bene. Giuro.

I massaggi cinesi ora, dicono, fanno pure dei pompini. Vivere senza quelli, neanche il martini.

Ah, il martini.

Raccontatemi del G8 all'Aquila. A Genova, dicevano, ginnastica e rivoluzione. In Abruzzo, l'unica ginnastica è stata quella delle gente che toglie le macerie. La rivoluzione è che i potenti ce le rimettono, le macerie.

Concedetevi una pausa. Soldi, denaro, lavoro. Da quanto non tempo non lo fate? Si, proprio quello. Da quanto tempo? Bevetevi un martini.

Ah, il martini.

C'era una volta una favola. Un pianeta felice, con animali in simbiosa pace, rispetto. Oggi c'è non ci siete più, l'insostenibile leggerezza delle vostre azioni mi ha chiuso qui, dietro un computer con del martini, sempre lui. Che possano morirvi le controparti, quella è solitudine.

Mondi possibili (il martini è transmodale)

Sono morto, forse neanche è vero che ero vivo. Se non fosse per … si, per il martini, non avrei ricordi. La rivoluzione è lontana, e io sono contento. Questa parola, "r-i-v-o-l-u-z-i-o-n-e" è, permettetemelo, una parola per coglioni. Il mondo è un centro sociale occupato, male, ma occupato. Nei fiumi scorre il martini.

Ah, il martini.

Estate, fa caldo. Milano è bella l'estate. Niente Milanesi, niente lavoratori e pochi clacson. Io ci sto bene, ci lavoro e la sera giro in bici. Isola, navigli, brera, duomo. Poi mi fermo li, in Magenta per un martini. Viale dei mille, una botta ad una negra e via. Ancora da solo.

La vita è un brivido sulla schiena. Non puoi grattarti.

Finisce cos', senza un senso. Sen - Z - a un Sen - S - o. Parole, soltanto parole. E senza quelle niente più di questo. Nessun permisero, nessuna cosa. Ti ho amata, e ti ho desiderato. Ma mastrurbarmi con un martini non ha prezzo.

Ah, il martini

venerdì 4 giugno 2010

Il moralista provvisorio







"Il moralista provvisorio", cortometraggio vincitore del concorso cinematografico D.E.S.I.C.A. ("Daylong Emergent Showbiz Initiative Cremonapalloza Award"), edizione 2010. Tema del concorso: "segni particolari: sguardo di traverso".

giovedì 3 giugno 2010

Torrent Animalisti

Filippo Miserocchi mi ha segnalato questo link (torrent) dove poter scaricare video, film e filmati che hanno il tag "Animal Rights". Basta cliccare qui.

mercoledì 2 giugno 2010

Ripropongo qui. Da "Fili di Paglia"

Donne dei gatti "Fili di paglia"

"La gattara è, era, una figura del limite, che si muoveva ai bordi della civiltà, nelle nicchie, negli angoli rimasti un po' selvaggi,
dove vive
l'antico popolo dei gatti di Italo Calvino.
I gatti e la gattara stessa possono essere interpretati come il selvatico residualeche sopravvive nelle città, personaggi un po' di frontiera.
Una selvaticità che negli ultimi anni è in corso di domesticazione".













Nascosto nel post precedente come un gatto infrattato, c'è un link ad un bel saggetto di Anna Mannucci dal curioso titolo di La donna dei gatti : dalla gattara anomica alla tutor della legge 281 [*]. Lo riposto qui, consigliandone caldamente la lettura alle/agli amanti dei gatti: son solo 19 pagine, figure incluse.
...
...
Ok, ok, vi faccio un riassuntino :)

§ § §

C'era una volta il randagismo.
E c'era una volta anche la lotta al randagismo -rivolta principalmente ai cani- che consisteva nell'accalappiare gli animali, portarli al canile, attendere tre giorni e poi sopprimerli, gasandoli.
Questo è quanto avveniva in Italia, sino al 1991.

Nel 1991, in materia di "animali di affezione e prevenzione del randagismo" arriva la legge 281, che muta radicalmente la prospettiva: è vietato sopprimere i cani rinvenuti vaganti, è vietato maltrattare i gatti che vivono in libertà, il nuovo metodo per controllare le loro popolazioni non è più la soppressione bensì la limitazione delle nascite.
Una legge di civiltà che a volte gli animalisti -mutatis mutandis- paragonano alle grandi leggi di riforma degli anni '70 (statuto dei lavoratori, diritto di famiglia, sanità) ed in particolare alla legge Basaglia sulla chiusura dei manicomi: "problemi" non più occultati e rimossi, ma "accolti" nella società. Poi uno legge di medici invitati alla delazione e questa della società accogliente sembra una fiaba scritta due bilioni di anni fa (ma non divaghiamo).


Rabat


Haifa

"Seguendo le gattare nei loro giri
si vedono sempre i gatti che le aspettano
nel posto e nell'ora giusta"


Gattare: bizzarre ladies -benefattrici, squilibrate o perditempo?- che spontaneamente si occupano dei gatti randagi. Vi sarà capitato di vederle all'opera, o magari di conoscerne una: in Italia è un fenomeno tipicamente urbano, ed è/era una figura anch'essa un po' randagia, marginale, di confine, in passato sempre in conflitto quasi paranoico con le istituzioni, il vicinato ed i geometri dei cantieri ("sono tutti contro di me"). Il suo imperativo categorico di base è: dar da mangiare agli affamati. Il numero dei gatti che sfama può variare da tre a molte decine, o centinaia: un impegno che richiede organizzazione, spese, orari fissi (perché "i gatti lo sanno e aspettano") e che non concede vacanze. Una missione che -nelle parole delle gattare intervistate- è sofferenza; un dovere, un obbligo morale al quale non ci si può sottrarre. Una figura tragica, quella della gattara: c'è chi l'ha accostata -addirittura- ad Antigone.
Uno dei compiti più tragici che questa donna si assumeva, in passato, era quello di uccidere i gattini -in particolare le gattine- neonati, prima che aprissero gli occhi, quasi sempre affogandoli.
La si nomina al femminile perché -praticamente sempre- è donna. Sino ad una ventina di anni fa dare della "gattara" ad una donna era un insulto bello e buono: lo stereotipo la voleva infatti "vecchia, brutta, zitella, sola, povera, emarginata, di cattivo carattere e scarsa pulizia". E forse un po' strega.


Creta

"I gatti chiamano, anche senza miagolare, e la gattara va,
con i suoi piattini di cibo,
che qualcuno potrebbe interpretare come offerte propiziatorie.
Non rispondere a quel richiamo per lei è impossibile."



California


Con la legge 281 il gatto "randagio" italiano diventa gatto "libero".
La 281 ha alcune lacune: non specifica a chi competa la cattura dei gatti, chi li debba portare in ambulatorio per la sterilizzazione, chi ne curi la degenza post-operatoria. Ma, di fatto, la cattura non traumatica dei mici può avvenire soltanto con la collaborazione dell'unica persona in grado di avvicinare le colonie dei liberi felini: la gattara. Un riconoscimento di ruolo sociale che l'ha lentamente riscattata dall'emarginazione.
La gattara selvaggia è perciò andata addomesticandosi, sino ad evolvere in gattara istituzionalizzata. Ora è infatti la "responsabile di colonia felina", in qualche caso munita di patentino comunale, che si rapporta con istituzioni, veterinari, Asl e che -all'occorrenza- sa maneggiare leggi, ricorsi e petizioni: un'intensa attività sociale.
Non più conflitto, ma negoziazione: "la gattara ora ha la legge dalla sua e lo sa. La 281 è citata ripetutamente, come un litania, come un mantra".



Singapore


Il termine "gattara" ha oggi perso ogni accezione negativa: dall'impotenza di un tempo si è passati all'orgoglio gattaro.
Nel 1995 i veterinari veneziani hanno ufficialmente definito il gatto come "arredo urbano", e la gattara come "tutor".
A Roma è in vigore il decalogo comunale dell'ecogattara: una serie di"regole che vogliono mettere ordine ad un'attività di base assolutamente irrazionale, un tentativo di governare le passioni".

"Antigone, insomma, è diventata una funzionaria statale".


La situazione dei gatti, complessivamente, è ormai molto migliorata.
La signora I.A., milanese, settantenne, combattiva ex-gattara, ha perciò deciso di diventare piccionara :-)

§ § §

[*] Il saggio è comparso su La ricerca folklorica n. 48, ottobre 2003, ed èonline grazie a Sandro Zucchi, docente alla Statale di Milano responsabile del "Seminario permanente su etica e animalismo" e di Quilp, il blog del seminario.

Le citazioni dal saggio sono in corsivo.

Foto da Flickr (5 credits su 6 nelle dida, autore della gattara californiana cercasi).

Terrorismo e Rivoluzione

Avviso agli studenti - Terrorismo o rivoluzione
Sergio Ghirardi
Leonardo Caffo
voto

“L'istruzione scolastica appartiene a gruppi affaristici […]. Resta da sapere se allievi e professori, dal momento che la gestione di un universo in rovine alla quale li si invita non promette nulla di buono, si lasceranno ridurre alla funzione di meccanismi lucrativi senza scommettere sull'ipotesi di imparare a vivere anziché economizzarsi”. Lasciatemelo dire: ci vogliono i coglioni per definirsi liberi pensatori, per campare di stenti, per non fare compromessi, per rinunciare ad una famiglia... per sacrificare la propria esistenza a beneficio di un'idea. Per essere liberi. “Molti hanno deciso di non lasciarsi più consumare da un'economia che se ne infischia della loro salute e della loro intelligenza”...
Raoul Vaneigem è uno di questi, uno con i coglioni insomma. Scrittore libertario belga ed esponente di spicco del movimento Situazionista (oltre che promotore del Maggio francese). Il libro mette insieme due scritti di questo libero pensatore: la critica al mondo capitalistico è radicale, lo slancio poetico è assoluto, perché un'assoluta volontà rivoluzionaria permeava l'aria del '68: la fine di un'epoca, l'inizio di un mondo. Un mondo che, al contrario delle speranze di Vaneigem, ha solo fortificato i suoi presupposti. Leggere questo libro è a tratti commovente, come commovente è l'enorme cultura di quest'uomo educatosi con la sola forza della sua tenacia, l'ostinazione ad evitare il compromesso, a lottare per gli altri. L'istruzione è in mano a dinosauri militarizzati, “Se i governi privileggiano l'allevamento intensivo di studenti consumabili sul mercato, allora i principi di una sana gestione prescrivono di stivare nello spazio scolastico più ridotto la quantità massima di teste modellabili dal numero minimo di personale possibile. […] Noi non vogliamo più una scuola in cui s'impara a sopravvivere disimparando a vivere”. Quanto è vero... quanto è triste... Le nostre scuole insegnano la dipendenza e mai l'autonomia; dipendenza dal denaro, dipendenza da un titolo (Dott. Prof. Ecc...), dipendenza da uno status sociale. Tutto questo ha bloccato il naturale sviluppo della libertà e delle intelligenze umane: ciò che propone Veneigem è una disgiunzione ben precisa, che ha la caratteristica di essere esclusiva. Terrorismo o rivoluzione? Io il primo non lo voglio, e credo neanche voi. Direi che è facile capire che cosa dovremmo fare.