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domenica 18 ottobre 2009

Gli animali non pensano. Dunque non sanno di soffrire.

di Leonardo Caffo

Tutti possono provare dolore, e per dolore, si intende “il dolore fisico”. Un pugno, un taglio o qualsiasi danno inflitto ad un organismo vivente causa generalmente un dolore che potremmo schematizzare attraverso il funzionalismo in questo modo: ad ogni input che individuiamo come un’azione o una situazione che arreca danno ad un organismo vivente corrisponde un output che causa all’organismo colpito una sensazione (a livello psicosomatico) di dolore. Esiste tuttavia un altro tipo di dolore molto più complesso causato dalla consapevolezza del provare dolore. Questo tipo di dolore è difficilmente schematizzabile attraverso un modello input/output (anche se non sono mancati tentativi a tal proposito da parte dei funzionalisti). Parafrasando il filosofo Peter Singer potremmo affermare che la consapevolezza del dolore presuppone come insita nella mente del soggetto coinvolto nello stato “del provare dolore” una certa dose di autocoscienza. Intuitivamente, saremmo tutti portati a pensare che ogni essere umano è un individuo autocosciente, ma non è facile come sembra. Riflettere sui propri stati di dolore, o più generalmente sui propri stati mentali, richiede quella che tecnicamente è definita come una teoria della mente di ordine superiore. Il dolore del “sapere di provare dolore”, ancor più del dolore cosciente (che implica il “semplice” fatto di poter provare dolore), ha contribuito ad identificare ogni essere umano come soggetto morale. Se l’uomo pensa, come tale è anche in grado di pensare al proprio pensato o al proprio dolore e questo lo identifica come un unicum all’interno della natura. Ma è davvero così? La classificazione con cui è stato delimitato il confine specista riguardante le qualità intrinseche all’essere umano non appartenenti agli altri animali è totalmente arbitraria e per di più soggetta ai problemi filosofici della vaghezza. Esistono, infatti, uomini che non possiedono una teoria della mente, mentre in natura, è stata scientificamente rintracciata la presenza di una teoria della mente (anche di ordine superiore) in alcuni animali non umani, se questo è vero, dovremmo assistere ad un processo di correzione della morale che tuteli questi animali e che escluda dai diritti morali quegli uomini che non possiedono la teoria della mente. Avere dei diritti morali è fondamentale per vivere una vita degna di essere vissuta, a tal proposito, il filosofo Tom Regan afferma che:

“ Essere titolari di diritti morali è come avere una specie di protezione che possiamo raffigurarci come un cartello invisibile con la scritta: divieto d’accesso. Cosa viene proibito da questo cartello? Due cose. Primo, gli altri non sono moralmente liberi di arrecarci danno […] Secondo, gli altri non sono liberi di interferire nelle nostre libere scelte.”[1]

Vediamo in concreto quali uomini e quali animali non umani mettono in crisi la convenzionale classificazione morale. Esiste una particolare patologia chiamata autismo descritta per la prima volta negli anni ‘40 da Leo Kanner a Baltimore e da Hans Asperger a Vienna. Gli autistici presentano concettualmente tre deficit fondamentali: sviluppano in modo anormale la loro socialità e il loro linguaggio e inoltre presentano interessi morbosamente ripetitivi. Le cause dell’autismo non sono note; da numerosi test psicologici (soprattutto grazie al Sally - Anne test) si è rilevato che i soggetti autistici non sono in grado di rappresentare gli stati mentali in quanto sprovvisti di una teoria della mente. Questa particolare mancanza li rende diversi da tutti gli altri esseri umani, ciononostante, nessuno ha mai pensato di privare dello statuto morale gli autistici solo perche probabilmente non sono in grado di riflettere sul proprio dolore. In natura esistono animali non umani che possiedono ciò che manca agli autistici, nel 2001, infatti, un esperimento condotto dagli scienziati Hare, Call e Tomasello mostra che gli scimpanzé possiedono una teoria della mente e sono in grado ad esempio di inferire quello che un altro scimpanzé sa sulla base di quello che hanno visto. La teoria della mente degli scimpanzé non è necessariamente identica a quella appartenente agli uomini ma rimane il fatto che esiste. Alcuni uomini (autistici), dunque, non possiedono una teoria della mente mentre alcuni animali (scimpanzé), la possiedono. Come tratta l’uomo queste scimmie? La risposta è triste come triste è il destino di questi animali; ad aspettarli, infatti, zoo, circhi, centri di ricerca ed altri luoghi di immonde sofferenze. Nessuno sarebbe pronto a vedere autistici dietro gabbie o al circo mentre troviamo del tutto normale osservare il dolore degli scimpanzé. Non basta riformulare il paradigma: bisogna svuotare del tutto queste gabbie!



[1] Regan 2004 p. 72

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