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sabato 2 ottobre 2010

Cosa mangia chi non mangia?

Sono vegano; presentarsi come tale a chi non lo è, spiegando che non ci si alimenta ne di animali ne di derivati, suscita una strana domanda: e che mangi?
Pensare che si possa mangiare solo carne, pesce, uova e formaggi è, oltre che da menti di rara idiozia, terificante dal punto di vista argomentativo. Esistono un'infinita varietà d'ortaggi ma, soprattutto, esistono un'infinita varietà di derivati dagli ortaggi di cui, soia, mopur, tofu, seitan, temphè e muscolo di grano costituiscono le macrofamiglie da cui attingere.
Perché ad oggi, sapendo che si può mangiare bene godendo sia come sapore che di buona salute, si dovrebbe continuare ad uccidere animali indifesi?
La risposta è un misto di idiozia, ignoranza e perseveranza alla crudeltà.
So che ormai un piccolo nucleo di lettori affezzionati legge il mio blog.
Provate una ed una sola settimana a fare i vegani, a mangiare come mangio io, e fatemi sapere cosa provate a sapere che i vostri stomaci non saranno più cimiteri ma che potrete comunque continuare a gustare bistecche e filetti, spezzatini e salumi.
Provate, e se non sapete dove comprare la materia prima: scrivetemi!
P.s quello nella foto è un'ortaggio!

lunedì 7 giugno 2010

The Brain Functional Networks Associated to Human and Animal Suffering Differ among Omnivores, Vegetarians and Vegans

PloS ONE per l'articolo completo. Clicca qui

Introduction

Social cognition includes mental processes necessary to understand and store information about the self and other persons, as well as interpersonal norms and procedures to navigate efficiently in the social world [1]. Basic abilities underlying social cognition include the perception and evaluation of social stimuli, the integration of perceptions with contextual knowledge, and finally the representation of possible responses to the situation. One of the hallmarks of social cognition in humans is the ability to understand conspecifics as beings like oneself, with intentional and mental lives like one's own [2]. Accordingly, human beings tend to identify with conspecifics and attribute mental states to them. Such abilities rely on the activity of several brain regions, including the frontal lobes (orbitofrontal cortex, medial prefrontal cortex, and cingulate cortex), the temporal lobes (including the amygdala), the fusiform gyrus, and the somatosensory cortices[3], [4], [5]. The majority of these regions is also critically involved in the processing of emotions [6]. This suggests that the merging between emotions and feelings experienced by oneself and those perceived in other individuals may be a key ingredient of social understanding, and it may play a major role in promoting empathy, prosocial behaviours, and moral norms [1], [3]. Moreover, empathic responses can be modulated by the subjective attitude held toward suffering individuals [7], as well as by personal experience [8]. Several functional magnetic resonance imaging (fMRI) studies showed that observing the emotional state of another individual activates a neuronal network involved in processing the same state in oneself, whether it is pain, disgust, or touch[3], [4], [5]. Empathy toward another person, which can be defined as the ability to share the other person's feeling in an embodied manner, has been related to recruitment of a network mostly including the somatosensory and insular cortices, limbic regions and the anterior cingulate cortex (ACC). Whereas cognitively inferring about the state of other person (known as theory of mind) has been associated with recruitment of medial prefrontal regions, the superior temporal sulcus and the temporo-parietal junction[4].

A few investigations have also assessed whether affective links between people modulate their brain empathic responses to others, such as when these are loved ones or strangers[9], or when they are believed to be fair or unfair persons [7], [9]. The majority of previous studies attempting to characterize empathy-related responses did not separate empathy towards humans from that towards animals. Furthermore, in some studies, scenes showing animals were treated as a neutral condition. However, a recent study [10] that compared stimuli depicting human and non human animal targets demonstrated higher subjective empathy as the stimuli became closer in phylogenetic relatedness to humans (mammalianvs. bird stimuli), thus indicating that empathic response towards humans may generalize to other species.

In this study, we postulated that the neural representation of conditions of abuse and suffering might be different among subjects who made different feeding choice due to ethical reasons, and thus result in the engagement of different components of the brain networks associated with empathy and social cognition. In details, we tested the hypothesis that the neural processes underlying empathy in vegetarians and vegans may not only operate for representations about humans but also animals, and thus vary between them and omnivore subjects. Vegetarians and vegans, who decided to avoid the use of animal products for ethical reasons, have a moral philosophy of life based on a set of basic values and attitudes toward life, nature, and society, that extends well beyond food choice. The earliest records of vegetarianism as a concept and practice among a significant number of people was closely connected with the idea of nonviolence towards animals and was promoted by religious groups and philosophers. The term veganism, which was coined from vegetarianism, acknowledges the intrinsic legitimacy of all sentient life and rejects any hierarchy of acceptable suffering among creatures. Veganism is a lifestyle that seeks to exclude the use of animals for food, clothing, or any other purpose [11]. The central ethical question related to veganism is whether it is right for humans to use and kill animals. Due to these differences of believes and behaviours, we also hypothesized that, in addition to a common shared pattern of cortical processing of human and animal suffering, vegetarians and vegans might also have functional architecture differences reflecting their different motivational factors and believes.

mercoledì 3 febbraio 2010

L'intelligenza dei vegetariani (da vegan italia)

l Corriere della Sera il 7 gennaio 2007 ha pubblicato un breve articolo dal titolo “I più intelligenti scelgono la dieta vegetariana” in cui sta scritto: Chi ha un buon quoziente intellettivo (QI) a dieci anni ha maggiore probabilità di diventare vegetariano da grande.

Lo suggerisce uno studio pubblicato sulla rivista British Medical Journal. La ricerca ha preso in considerazione oltre ottomila uomini e donne (dei quali si conosceva il quoziente intellettivo a dieci anni) che a trenta hanno risposto ad un questionario sulla loro propensione al vegetarismo.

Sulla rivista settimanale “Viversani” del 12 stesso anno, viene ripreso l’argomento con un articolo dal titolo “Vegetariani, da bambini erano più intelligenti” in cui si dice: Secondo uno studio pubblicato sul British Medical Jiurnal chi diventa vegetariano prima dei 30 anni, probabilmente da bambino aveva un quoziente intellettivo superiore al normale (con una media di 5 punti in più). Lo studio ha coinvolto più di 8.000 persone che all’età di 10 anni erano state sottoposte ad un test di intelligenza. Dopo 20 anni è stato preso in considerazione il loro tipo di alimentazione. Si è scoperto che i maschi vegetariani avevano totalizzato 106 punti, contro i 101 dei non vegetariani, mentre le donne vegetariane 104 punti contro i 99 delle non vegetariane. I ricercatori sostengono che questa è la dimostrazione scientifica del fatto che le persone più intelligenti sono anche le più sane (eliminare la carne, infatti, porterebbe benefici a cuore e arterie).

Da notare che se basta essere vegetariani per aumentare la propria positiva intelligenza con l’essere vegani non si può che ottenere il massimo dei benefici. Infatti il prof. Armando D’Elia nel suo libro “Miti e realtà dell’alimentazione umana” dichiara: Ricercatori dell’Università di Oxford, dopo una lunga serie di test condotti su studenti, hanno individuato il rapporto esistente tra il pH del sangue che nutre il cervello e l’acume intellettivo rivelando che tale acume aumenta proporzionalmente alla “basicità” del sangue che arriva al cervello. L’alimentazione tradizionale, a causa soprattutto della carne è, in quanto a rendimento finale, acidogena, con un pH sensibilmente inferiore a 7. Il sangue dell’uomo in salute richiede in permanenza un pH alcalino superiore a 7, aggiratesi all’incirca su 7,35. Se tali riserve mancano o sono insufficienti l’organismo ricorre alle sue riserve alcaline prelevando il calcio e il magnesio dalle ossa, dei denti, delle unghie ecc. provocando osteoporosi, carie dentarie ecc.. Acidificanti sono, oltre allacarne e al pesce, anche i cereali e i loro derivati, formaggi, legumi, zucchero industriale, le uova, il caffè l’alcol, l’aceto, lo yogurt. Sono invece alcalinizzanti tutta la frutta fresca, la frutta secca, tutti gli ortaggi a foglia o a radice,le mandorle, le patate.Lla scoperta degli scienziati di Oxford ci permette ora di sostenere con maggiore convinzione che il vegetarismo aumenta, oltre la speranza di vita anche la nostra intelligenza.Da rammentare, inoltre, che l’energia necessaria all’attività dei 100 miliardi di cellule mediamente presenti nel cervello umano è fornita da circa 200 grammi quotidiani di glucosio, combustibile ricavabile solo dagli alimenti di origine vegetale (ad eccezione del latte che lo contiene combinato con il galattosio).
Poi il prof. D’Elia riporta nel suo libro un lunghissimo elenco di illustri personaggi della storia (filosofi, santi, eroi, scienziati, poeti, scrittori ecc. ecc. i pilastri della cultura e della spiritualità universale del mondo, che sono stati, o sono, vegetariani. Ed egli sostiene che sia stata proprio il tipo di alimentazione adottata a favorire in loro lo sviluppo di un’intelligenza fuori dal normale. Io invece sostengo che proprio perché avevano, questi grandi personaggi, un’intelligenza fuori dal normale hanno scelto di essere vegetariani. E se fossimo anche modesti saremmo perfetti.

venerdì 15 gennaio 2010

Storia di una bistecca. (http://www.mclink.it)

La fettina di vitello, la bistecca alla brace, l'arrosto di maiale.... questi cadaveri programmati come arrivano nei nostri piatti?


Allevamenti intensivi

Negli allevamenti intensivi dei bovini si comincia con la fecondazione artificiale della mucca. Il toro prolifico viene stabulato mentre gli altri tori vengono castrati.
Il vitellino: stabulazione

Quando il vitellino nasce viene separato dalla madre dopo pochi giorni e sistemato in angusti box con
1) pavimentazione artificiale (grigliato di cemento o metallo)
2) illuminazione artificiale 3) ventilazione artificiale
Alimentazione

Resterà nel box fino a 6 mesi cioè fino alla macellazione. Nutrito con latte in polvere ricostituito e privato di complesso B, senza foraggio (fino all'artrofia del rumine), beve acqua deferizzata addizionata con resine a scambio ionico e dolcificata.
Queste pratiche servono a mantenere la carne bianca (poco nutriente) che sarà la ricercata "fettina".
La mucca da latte

Il latte naturalmente destinato al vitello viene consumato da noi.
La mucca viene allevata in BOX sempre con
1) illuminazione artificiale
2) ventilazione artificiale
3) mungitrice meccanica
4) sincronizzazione dei calori con trattamento ormonali che producono poliovulazioni (gli embrioni vengono trapiantati in altre bovine: embriotransfert).
Quando la lattazione diminuisce la mucca viene abbattuta.
Il bovino da latte

Viene riunchiuso in un box angusto da solo o con altri coetanei finchè non sarà macellato.
I suini

Anche i maiali passano la loro breve vita in batteria. I maschi vengono castrati a circa 25 giorni (spesso senza anestesia) per evitare uno sgradevole odore nei prosciutti.
Le scrofe

Le scrofe in gravidanza in alcuni allevamenti CEE sono immobilizzate in box e legate a catena corta.
I polli

Le galline ovaiole vivono la loro vita in gabbie sovraffollate, stimolate da mangimi , ricchi di proteine e ormoni di sintesi, a deporre ininterottamente uova fino a prolasso dell'utero.
Nei capannoni vi è costantemente 1) illuminazione artificiale 2) ventilazione artificiale.
Anche i polli da carne vivono ammassati in batterie fino alla morte.
I pulcini in sovrappiù vengono triturati vivi in apposite macchine per essere trasformati in mangime oppure soffocati in massa in sacchi di polietilene.


Animali tecnologici

Negli allevamenti intensivi , temperatura, alimentazione, farmaci , controlli sono regolati dal computer.
Si parla di "ANIMALI TECNOLOGICI ", di "MACCHINE" perchè non sono rispettati i principi della biologia, della fisiologia, dell'etologia nei confronti degli animali rinchiusi negli allevamenti intensivi.
Il fine unico degli allevatori è esclusivamente la maggior produzione possibile.
Le condizioni di vita innaturali come
l'impossibilità di movimento
la privazione della luce solare
la privazione di un ambiente naturale
la privazione di una vita naturale
producono aggressività, alterazione del comportamento, della sessualità e dell'equilibrio psico-fisico.
Patologie animali

L'alimentazione a base di mangimi composti da farine di carne (anche per gli erbivori), scarti di macellazioni, zuccherifici, oleifici chimicamente inquinati, da riciclaggio di deiezioni, arricchiti da minerali, vitamine sintetiche e additivi chimici puo' provocare patologie: aterosclerosi, ulcere, tumori, anemie, tossicosi, turbe gastro-intestinali, infezioni dismetaboliche.
Per prevenirle o curarle vengono somministrati agli animali farmaci, in particolare antibiotici e cortisonici che aprono la strada ad altre patologie come la peste suina, l'encefalopatia spongiforme dei bovini, la tubercolosi, la brucellosi , l'idatidosi (le ultime tre sono zoonosi cioè malattie trasmissibili all'uomo).


Pratiche, tecniche e strumenti di tortura

Contenzione per tenere immobilizzati gli animali si usano:
torcilabbro per i cavalli
mordecchia per i tori
anelli nasali per i tori
bloccamuso per i suini
Identificazione per riconoscere gli animali si usano:
marche auriculari
marcature a fuoco o azoto liquido
pinze a trancia per numerare le orecchie.
taglio delle corna
nel vitello si usa la causticazione chimica.
nei tori si usano anelli dolorosi alla base del corno oppure seghe elettriche o a filo.
taglio dei denti
si pratica nei suini per evitare che si mordano (con seghe o tenaglie).
repressione dell'aggressività
debeccaggio dei polli e occhiali di plastica per polli per impedire il cannibalismo.
castrazione del maialino.


Trasporti

I viaggi
Se in alcuni allevamenti industriali gli animali vengono macellati sul posto, in molti casi sono soggetti a commerci, compravendite, mostre, quindi a spostamenti mediante brevi o lunghi viaggi da nord a sud, da est a ovest, per essere uccisi in paesi diversi e lontani da luoghi di origine.
Carichi di farmaci e di stress,trascinati via dall'allevamento al veicolo e imprigionati in camion, treni, aerei, navi partono per viaggi anche di settimane subendo nuovi stress, traumi, lesioni, ferite, malattie e morte.
* le specie più suscettibili di sofferenza sono: equini, suini, pollame, bovini giovani, bovini adulti, caprini.
* nei suini il 70% dei decessi avviene per shock cardiogenico e nei polli per collasso cardiocircolatorio.

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Principali cause di sofferenza


Spostamento, carico e scarico
modi bruschi e violenti del personale fino a bastonate violente sui garretti,sugli stinchi, sugli occhi e sul naso (proibite dalla legge)
rampe ripide e sdrucciolevoli
cadute
densità di carico
sovraffollamento, sottoaffollamento, prolungata stazione eretta
modalità di viaggio
pavimento difettoso
stabbi sprovvisti di lettiera
guida negligente, accelerazioni, frenate
eccessiva durata del viaggio
rumori, vibrazioni
fattori metabolici
mancata e/o insufficiente abbeverazione e alimentazione
fattori ambientali
sbalzi di temperatura
insufficiente ventilazione
gas nocivi
Fiere e mercati

Sono luoghi in cui gli animali allevati (quasi un miliardo di capi all'anno in Italia), provenienti da tutte le zone del nostro paese, a fine carriera,vengono esposti, contrattati e poi ritrasportati a vari mattatoi.


Macellazioni

Avvio
L'avvio alla morte e l'attesa nei recinti sono momenti di grande sofferenza spesso aggravata da mezzi e modi violenti da parte del personale (calci, bastonate, uso di pungoli elettrici) per bovini, suini, ovini e ancor più massacranti per polli e conigli che viaggiano in gabbie anguste le quali spesso cadono pesantemente. Immobilizzazione
Poi c'è l'immobilizzazione degli animali con mezzi meccanici nei macelli industriali e con mezzi manuali nei casi di mattazione familiare.
Stordimento

Lo stordimento è la pratica fondamentale per evitare all'animale la coscienza e il dolore della morte.
La legge prevede per lo stordimento:
a) la pistola a proiettile captivo per bovini,equini, bufalini, ovini e in parte suini
b) l'elettronarcosi per suini, ovini e caprini
Iugulazione

Subito dopo la stordimento deve essere eseguita la iugulazione cioè il taglio che interrompe l'affluso del sangue al cervello.

Sofferenza, paura, angoscia

Ma è ovvio che in tutte queste fasi la sofferenza, paura e angoscia non possono essere eliminate totalmente.
Esistono deroghe più o meno legali come per la macellazione familiare degli ovini in particolare degli agnelli e per la macellazione rituale in cui la iugulazione secondo i riti islamico e ebraico avviene senza stordimento.
Effetto carni

La carne dopo la macellazione è infestata dai batteri in putrefazione.
Lo stress prolungato, la paura degli animali vivi producono sulle loro carni "macellate" notevoli quantità di adrenalina.
Nelle carni passano sostanze tossiche: residui di pesticidi, antibiotici, ormoni, metalli e additivi chimici.
Quindi si tratta di cadaveri di animali malati e inquinati.
Anche nel latte si trovano egualmente residui di farmaci e ormoni, spesso fluoruri e stronzio 90.
Il cibo "prelibato", il famoso "patè de fois gras" non è altro che un fegato malato.
Anatre ed oche sono costrette a mangiare 1300 grammi di granoturco, tutti i giorni, per un periodo di un mese (come se un uomo fosse forzato a mangiare più di 12 Kg di spaghetti).


La pesca

Guerra al mare
10 miliardi di animali pescati ogni anno in Italia.
6 milioni di quintali di pesce importati dall'estero.
Crostacei, aragoste, balene, delfini, tonni, pesci di ogni tipo e misura trasportati vivi, surgelati o inscatolati in tutto il mondo: questa è l'industria della Pesca.
"Flotte da pesca"

Ogni paese che si affaccia sul mare trae gran parte della propria ricchezza dal mare, ma oggi con mezzi sempre più sofisticati e pericolosi.
La pesca intensiva usa sistemi distruttivi di varie specie animali: ad es. in Giappone le enormi reti pescano oltre ai pesci, milioni di uccelli e animali marini.
La "flotta italiana"

Nel nostro paese nel Mar Ligure e nel Mar Tirreno la reti pelagiche lunghe decine di chilometri e alte circa 30-40 metri colpiscono, oltre ai pescispada, anche delfini, tartarughe, capidogli e persino balene (che vengono trovati mutilati delle pinne e della coda), nonchè esemplari giovani di molte altre specie ittiche, nonostante le proteste di ambientalisti e animalisti.
In Sicilia persiste la tradizionale e sanguinaria mattanza dei tonni che vengono uccisi in un angusto spazio d'acqua.
La sofferenza e l'atroce morte dei mammiferi marini e dei pesci di grossa mole non ci deve far dimenticare la stupida e crudele pesca sportiva e tutte le agonie dei pesci presi all'amo o con le reti per scopi commerciali o ludici.
Anche i pesci soffrono il modo migliore per evitare l'agonia è la surgelazione subito dopo la pesca.
Acquacoltura

L'acquacoltura tende a fare della pesca ciò che si fa con i vitelli: un allevamento programmato di merce viva da cui trarre il massimo del profitto, stimolandone l'aumento di peso e la proliferazione.

lunedì 30 novembre 2009

Una mattinata ai macelli. di Gadda (1934)

I segni si rincorrono lungo la pista dello Zodiaco: già lo Scorpione abbranca il piatto della fuggitiva Bilancia. La città, vorace acquirente, alletta al suo mercato indefettibile commissionari e negozianti di porci, mediatori, macellari ed augusti bovari. È la più popolosa del nord, una delle più ricche, attivissima. Chi non mangia, non lavora. Qualcosa, in pentola, deve bollire ad ogni costo: perché il martello abbia a cader pieno sul ferro o adempiersi a un cenno lo smistamento dei veicoli indemoniati, senza urti, senza risucchi.

La città si sveglia. Contro il sole già alto le case si levano bianche, ognuna per suo conto, (1) quasi ammodernate torri, dal verde vivido della pianura, che appare sottilmente ovattata dalle prime sue nebbie: i treni rallentano la lunga corsa sopra i canali e le rogge, lungo gli stendimenti di infaticabili lavandai.

Le linee elettriche ad altissima tensione sorpassano i pioppi, accostano l’agglomerato delle case e delle fabbriche fino alle sottostazioni periferiche: ivi si disarmano, (2) come l’armato potere dei consoli davanti la silente legge e le porte dell’Urbe. Gli apparecchi di Taliedo già ronzano, con le ali ombrate o dorate, sopra la testa degli spazzini insonnoliti; rientrano pedalando lenti i guardiani della notte, con una sigaretta tra le labbra; i gatti salutano il giorno accoccolandosi presso la macchina dell’espresso, nelle più mattutine tabaccherie. Un andirivieni di biciclette senza incrocio possibile.

La città chiede bovi, porci e vitelli a chi li ha saputi allevare. Grossi autocarri li sbarcano dalla verde provincia, da Cremona, da Mantova, da Stradella, dal Lodigiano, dall’Emilia e dal Veneto: qualche carretta lunga, con uno o due capi, arriva di qui presso. Partiti avanti l’alba con dodici capi, e dodici dentro il rimorchio, ecco già si spalancano sulla banchina; e ne fuorescono sull’ammattonato i fessìpedi a ritrovare la luce, la sicurezza ferma del suolo. Incedono verso il veterinario bianco nella dignità della loro natura e delle lor forme, odorosi di vita: dopo la breve sosta alle barre, i «cacitt» li sospingono fuori del recinto di sbarco, (usando bastoncelli di frassino, come corte fruste impugnate alla rovescia), avviandoli verso la pesatura e le stalle.

Vedo la strapazzata masnada attendere nei posti di arrivo l’esame del veterinario, uno dopo l’altro, poi decèdere con qualche blando muggito lungo il piano inclinato della banchina: uno relutta, o s’adombra, si rivolge sui passi già fatti, costringe impaurito all’inseguimento, per tutto il piazzale, gli uomini dal bastone e dalla tunica blu, che lo rincorrono e lo prevengono, con vociferazioni e agitazioni delle braccia.

La nuova paura vince l’altra, e ripiglia il cammino prescritto. Nell’attesa del medico qualche animale appoggia la fronte a una barra (bavando una sua schiuma dalla bocca, a fiocchi) quasi per raggelare al contatto del ferro, dopo la scombussolata notte, il tumulto doloroso del proprio sangue.

Qualche altro ha un corno mezzo divelto, e ne sanguina: il caglio scarlatto gli si è raggrumato giù per il muso, l’occhio immalinconito sembra dimandarne la cagione alle cose, al mondo. I «caccini» dalla tunica blu sono uomini tozzi, tra lo stalliere e il bovaro: hanno una placca d’ottone sul petto, col numero, come i facchini delle stazioni.

Loro cómpito è guidare e sorvegliare i bovi dalla banchina alle stalle di sosta, alle pese, al dazio, al macellatoio, lungo l’intera percorrenza: ogni bestia paga un tanto, a forfait.

Il veterinario della Sanità Municipale eseguisce, come detto, una prima ispezione allo sbarco. Certi stallieri vuotano gli autocarri ed i traini dalla paglia trita e dallo strame notturno, l’ammucchiano in appositi padiglioni. Altri, nello spiazzo di ricevimento, lavano carri e autocarri con getti d’acqua.

Intanto anche un treno è arrivato: poiché la città compera dovunque il suo lesso, cliente ottima dei pascoli e di lontane foraggiature: da Postumia entrano i bovini di Croazia e d’Ungària. Tanti ne entrano, che il mercato degli animali in pianta s’è quasi trasferito colà.

Da un prossimo scalo ferroviario, che serve e disserve tutta l’annona milanese, la locomotiva della Direzione Macello (pare una vecchietta gobba, ma basta al suo compito) ha trainato il convoglio lamentoso fino alla banchina: i quadrupedi ne escono mezzo intontiti, digiuni: alcuni paiono infreddoliti, rattrappiti: con deboli gambe sotto il gravame della testa, delle anche e delle culatte. Il loro incedere è più peso del solito, timido e malsicuro.

Vedo che non tutti i cornuti hanno ricevuto quelle cure privative cui si sommettono i vitellini, per farne dei manzi che siano veramente degni di Milano. Per i piani inclinati discendono dalla banchina, lunghissima, tori insigni, i quali procedono a fatica pure all’ingiù, con la gravità decorosa di chi si sente onusto d’evidenti benemerenze. Le gambe di dietro paiono aver perduto l’articolazione del ginocchio: e sono esse la vera e l’unica causa del ritardo.

Ciò mi illumina circa il gran lavorare che ho fatto — tante volte! — a tavola. Masticavo, masticavo, con la soddisfazione di una molazza, in cartiera, che digerisca la resa d’un romanzo-toro.

Ecco le pesatrici automatiche: allineate in batteria sotto una pensilina in calcestruzzo armato, a chiusura del piazzale: ognuna la sua chiara cabina: ognuna è provveduta di un’aletta d’entrata senza ritorno, un po’ come i conta-persone dei musei; ma ci passa un bel bove.

Tutti gli sbarramenti d’avvìo e di raccolta sono in tubo di ferro verniciato di grigio: compiutisi il ricevimento e la conta, subito il personale di pulizia subentra a quell’altro, con ramazze e manichette ad acqua: per detergere la banchina e il piazzale.

Interrogata, ogni pesatrice enuncia il peso dell’animale su talloncini a stampa, e il responso determina il costo. I commissionari, (in rappresentanza del negoziante), e i macellai acquirenti presenziano la breve cerimonia.

Talora i bovini arrivano con qualche anticipo, da venti a sessanta ore, ed è ovvio, rispetto al giorno di macellazione: in tal caso vengono stabulati in ampie e chiare stalle, pagando un forfait per giorno e per capo. Ma per lo più dopo la prima pesatura, vengono avviati a quella fiscale del Dazio, indi ai padiglioni di macello.

Ne seguo il muto brancolamento, contenendo l’angoscia, il malessere. Mi dico e mi ripeto che si tratta di una necessità senza alternativa, il luogo, nel sole tepido, non è altra cosa se non un mercato, uno «stabilimento» qualunque…

I vitelli vengono trasportati alla loro fine su carri speciali, trainati da carrelli ad accumulatori. Tristi e direi présaghi, paralizzati in una rassegnazione senza più gemiti, ne vengono fatti discendere a quattro a quattro per una specie di barcarizzo e vi slittano come semplici pesi, qualcuno a culo indietro, piovendo entro i brevi recinti di entrata dell’ammazzatoio.

Qualche cosa di simile, più in là, deve accadere ai porcelli, clamorosi e striduli, inutilmente striduli.

Sospinti dai caccini, i buoi ed i tori arrivano invece con le loro gambe, lentamente, alla fortuna scarlatta. Entrano nel padiglione pavimentato di piastrelle rosse, diretti dalle stangate sempre più tenui e quasi oramai fatte pietose degli uomini dalla tunica blu: un uomo li attende, con una tunica blu, con un fazzoletto bianco al collo: la sua mano è lorda come quella di Macbeth, orribilmente armata, come quella di Macbeth: tutto il suo braccio è intriso in un colore da ’89.

Già chinano le corna, ristando: egli non li ha guardati negli occhi: li accosta a braccio disteso. E prova l’acume del ferro sulla cervice, dove sa, tra vertebra e vertebra; alza, dopo incontrato il punto, il coltello e lo vibra fulmineo: nel modo, direbbe Leibniz, del «minor male possibile». La bestia si accascia pesantemente: coi quattro zoccoli all’aria, riversa, gli occhi morenti, agitata ancora da stratti e da sussulti paurosi, senza attenuazione possibile.

Qualcosa di sacro si spegne, l’essere si adegua alla immobilità. Una nera polla dalla cervice, la stanchezza suprema.

Il secondo lavorante introduce nella ferita una bacchetta pieghevole, quasi un giunco, e la sospinge per entro la colonna vertebrale una quarantina di centimetri a spegnere i moti del cuore: gli ultimi sussulti della meccanicità nervosa accompagnano nella bestia moribonda questo provvedimento dell’uomo, un tremito si propaga fino agli zoccoli, poi tutto il greve corpo è inerte. L’organismo è ridivenuto materia: il costoso elaborato delle epoche, disceso di germine in germine traverso i millenni, è annichilato da un attimo rosso.

Sperimenti fatti con la pistola o con la fulgurazione han dato inconvenienti gravi, mi dicono, spreco di tempo. L’animale dovette soffrire, talvolta, durante alcuni minuti: fuggì ferito, ferì gli uccisori. Il «minor male» è nel procedimento adottato.

Tre padiglioni da trentasei posti cadauno costituiscono il macellatoio dei bovi: in un quarto si attende ai cavalli: in un quinto ai porcelli: un sesto è l’ammazzatoio dei vitelli. Poco capretto, a Milano, salvo che a Pasqua.

Dove si lavora ai bovini, un capo sala e un vice-caposala. Tabellazioni accurate assegnano per ogni animale il posto, la matricola, il proprietario. Due squadre di undici accudiscono, in un’ora e mezzo, alla macellazione e alla preparazione di 18 buoi cadauna, dando, in capo a quel tempo, le 18 bestie finite, pronte pel trasporto o la cella. Mezz’ora, poi, di lavatura e di riordino: quattro turni al giorno; ove occorra.

Sui diciotto, inanimati e distesi, gli undici si dividono il cómpito con ordine e con una incredibile celerità: chiazzati nelle vesti, intrise le mani e le braccia di sangue, hanno alla cintola una scatola di zinco in forma d’una rigida guaina: è la sede collettiva di due o tre lame assortite; ed ancora poi l’«acciarino» dove le affilano, ch’è come una lima lunga e rotonda dal manico di legno, quasi uno stilo od un’arma di riserva.

L’opera totale si suddivide nelle specializzazioni. Il sangue viene chiamato giù da un taglio alla gola e ne gorgoglia orribilmente nero, dapprima, in bacili di zinco; vuotati questi ancora fumiganti in una cisterna di raccolta montata su carrello. Un altro operatore spicca la testa e le zampe, appende la testa al gancio zincato d’una specie d’attaccapanni: e quella ti guarda ora dai semichiusi occhi, immoti e vitrei come d’un cornuto Oloferne.

Di poi il corpo viene agganciato posteriormente, dalle ginocchia mozze e scoperte, i due ganci fra tendine e osso; ed è sollevato mediante un verricello, di cui le ruote superiori corrono sulla rotaia a mezz’aria. «I faccettisti» aprono l’animale ed estraggono i visceri; uno apre, uno estrae. Passano rapidi da un animale all’altro, affilando nel breve intervallo i coltelli. Quello che apre disegna prima il gesto col ferro sopra la pelle, quasi prendesse la mira, perché il taglio deve riuscir fermo ed esatto. L’eviscerazione d’ogni bove richiede poco più d’un minuto: aperto l’addome, ch’è in alto, la grossa polta delle trippe se ne riversa, e decade turgida, e talora verdastra, dilatandosi sul pavimento, gonfia di indesiderabile sterco. I trippai accorrono con speciali carrelli, piovuti come avvoltoi sulle ventraglie, e par che le rubino di tra i piedi agli operatori, asportandole verso i loro calderoni fetenti.

Seguono la scuoiatura, le operazioni di «abbellimento». La prima viene eseguita da cinque lavoranti sugli undici: uno «scalfa» i quarti di dietro, due imprendono invece a scorticare le due metà della pancia, fianco destro e fianco sinistro, e vengono detti doppioni. Due lavorano la schiena a distaccarne il «groppone», salito il primo sopra un alto sgabello: l’altro lavora dal basso.

La scorticatura è un’operazione delicata, intesa a cavar di dosso alla vittima la di lei pelle, senza sciuparla; la pelle è assai ricercata, venduta a un prezzo che ammonta fino al 10 per cento del valore totale della bestia. Così dèvesi evitare ogni «rigatura» o mala raschiatura che ne possa invilire il prezzo di vendita; incidere il connettivo soltanto, che la lega al grasso ed al mùscolo.

A Milano si opera la scuoiatura con coltelli ordinari a larga lama per le parti ondulate, con le scuoiatrici elettriche Bignami per le pance e le schiene. L’operaio si butta in ispalla uno speciale telaietto a zaino con il motorino elettrico, il giro-moto viene trasmesso alla scuoiatrice da un tubo snodato. La scuoiatrice ha forma d’un largo e piatto anello del diametro d’una dozzina di centimetri, provveduto di Manico. Delle lamette tipo rasoio girano celermente fra i due paralame anulari affacciati.

Una volta macellata la bestia, e scuoiatala, si procede al suo abbellimento.

L’«abbellimento» è una sagace preparazione dell’animale perché figuri netto e generoso di carne, senza pendule bacche di grascia o frastagliamenti di tèndini. Il coltello non è ormai che il pettine o l’arricciabaffi di un parrucchere ambizioso.

Certe drupe, certi strati di bel grasso compatto nella regione spaccata dello stracùlo vengono cincischiati vezzosamente a punta di coltello: un’acconciatura per il ballo di mezza quaresima.

Sopita l’angoscia, l’animo ormai si distende in una mattutina veduta di beccheria, nomi intesi ogni qualvolta in cucina rampollano dalle aperte costate, messaggeri del pranzo.

Il coltello agisce rapido e conscio: e va d’attorno leggero leggero ai ritocchi, un panno deterge dai carnicci e dal sangue la liscia parete del muscolo striato di chiari tendini; e poi l’ascia imprende a lavorare sommessamente, del macellarone più alto, che pare insonnolito sul mestiere: (ma che sa dove dare del taglio). Egli fende la colonna vertebrale con simmetria rigorosa, aprendo fra le due mezzène una finestra soltanto, che le lasci ancora congiunte, per buona figura, presso le culatte e la spalla.

Uno degli undici, con un grembiule anatomico e una sanguinosa borsa di cuoio semiaperta davanti, trascorre intanto da un animale appeso a quel dopo, lesto ladro fra le occupate menti degli altri: defrauda in un baleno le bestie delle loro ghiandolette essenziali, ipofisi, timo, surrenale, tiroide, paratiroide: e alle vacche gli ruba subito le ovaie.

Ogni testa cornuta, appesa al gancio con il «linguino» già fatto, egli la solleva di un poco mettendoci sotto la sua stessa testa imberrettata alla diàvola, pontando del corpo lavorando con le mani, col ferro e con gli occhi all’insù, come a staccare il batacchio d’una campana: e ne spicca invece qualche moruletta rossa, appiccicosa e molliccia.

In pochi minuti la sua borsa di cuoio è piena di opoterapia: i più autorevoli farmacologisti ne caveranno tiroidine e ovarine e preparati di ogni maniera, normalizzatori d’ogni più periclitante sistema endocrino. Pancreas e aggeggi del toro vengono acquistati a parte, dato anche il volume, per dedurne pancreatina e insulina regolatrice del tenore di zùcchero, o l’essenza quinta di una maschia generosità del pensiero.

Zitellone redente dall’acidità (di stòmaco) e diabetici ridivenuti amari come il calomelano devono a questi dieci minuti di lestezza e di previdenza la recuperata salute.

Ma ci vuole una formula! Sentito il parere del distillatore di formule, gli opoterapisti ne distilleranno mirifiche fiale; barbugliando in pentole senza precedenti storici le loro fantasiose decozioni. Le tre fatidiche sorelle compiranno il supremo incantesimo della vita, zoccolando d’attorno la caldaia a cavalcioni d’una scopa, in un ritmo ossitono da diavolesse:

Double, double toil and trouble:
Fire, burn: and, cauldron, bubble.

Tuoni e lampi! La più scarmigliata vaticinerà nello specchio discendenti maschi per otto generazioni ininterrotte a chiunque avrà comperato e pagato quel filtro.

E il lavoro continua, raddoppia. Le pelli, sùbito, ai commissionari delle concerie.

Tra un’ala e l’altra d’ogni padiglione è un andito ampio, coperto: vi vengono pulite, arrotolate, pesate, imbarcate. Il sangue, sùbito, che ancora fuma dai carrelli, a un attiguo e recentissimo impianto, che ne deduce concimi, lavori plastici, ornamenti, collanti.

È venduto fino a 120 lire il quintale. Intanto un andirivieni di garzoni: e alcuni omacci con la catena d’oro sulla pancia, che hanno l’aria di sapere perché son lì. Uno del Municipio collauda di timbri violàcei le bestie, ancora appese dopo ultimata la toilette. Mentre le doppie mezzène vengono carrucolate al frigorifero per il deposito e la frollitura, gli autocarri dei macellai si colmano d’altre mezzène e di quarti attingendoli dal frigorifero stesso o direttamente dai padiglioni: ingombrando tutta la lunga galleria di caricamento che divide quello da questi, dove incurvi garzoni trasferiscono a spalla tutto il meglio che possono, profumati quarti e mezzène, spalancati vitelli.

Li avevo persi di vista, creature della tepida innocenza, al triste limite dell’ammazzatoio, davanti i cucinoni maleolenti delle trippe, la loro anima pàrgola già quasi vanita nell’obbedire, prima ancora che l’uomo alto li mazzerasse alla nuca, senza lamento.

Neppur cadono, quasi: paiono ruzzare ad aggomitolarsi in un gioco. Vengono agganciati agli zoccoli dietro, sollevati meccanicamente sopra una vasca, sgozzati: il bruno orrore sgorga oramai da un oggetto.

Tutta la bisogna non richiede cinquanta secondi: preciso e infallibile è l’operaio dalla mazza, preciso e certo quell’altro che deve servirsi della lama abominevole.

Nuovamente carrucolati lungo le rotaie pensili fino ai singoli posti di lavorazione, dapprima un operaio li incide rapidissimo all’umbilico: ed applica poi nella ferita l’ugello d’una manichetta ad aria compressa, insufflandovi quanto ci vuole per gonfiarli a dovere, come dei maiali. «Parevano tanti cani appiccati», ed ecco in un attimo sono già gonfi: turgidi e netti: la lavorazione riesce più precisa sulla pelle e sulle carni distese, la punta e la lama incideranno più pronte i tessuti.

Ed ecco i compressori del frigorifero, che imperturbati motori vengono azionando nella Centrale pulita: coperti di candida neve sulle tubazioni d’espansione. Il frigorifero comprende un deposito generale del Consorzio per sosta fino alle 24 ore (già computata nel forfait di macellazione) nonché le celle dei singoli signori macellari. Temperatura ideale del deposito: cinque, sei gradi sopra lo zero.

Bianchi veterinari si aggirano per i padiglioni alla visita ultima, esaminando visceri e carni: chiedono a prestito un ferro, incidono, scrutano. Frequente la tubercolosi, massime per i bovini di stalla: e si rivela con caratteristici nòduli alla superficie dei polmoni e all’interno delle due pleure, talvolta è manifesta nel rene, nei vasi linfatici.

Allora i visceri vengono inviati alla sardinia, bolliti in autoclave seduta stante, degradati a materia e concime nella verde quiescenza della pianura. I veterinari si trasferiscono in bicicletta da un padiglione all’altro, vegliano a che nulla di sospetto abbia a varcare le chiuse barriere del macello: investiti del fidecommisso di una città e d’un popolo, la loro opera si esplica in un’attenzione continua, che vieti il male: constatandolo e distruggendolo davanti le porte della città.

Ruit hora. Il mercato del bestiame vivo e delle carni, nel suo clamore pieno di omaccioni, raccoglie alle strette di mano e ai buoni patti la folla dal mestiere impellente: negozianti, macellai, commissionari (le tre categorie tipiche): più qualche mediatore superstite ai tempi, che agisce per conto di una macellaia femmina padrona di negozio. (3)

Taluno della provincia ha un fazzoletto al collo, il cappello all’indietro. Sùdano, bofónchiano, annotano adagio adagio i suoi pesi e i suoi costi in un calepino bisunto, che fa le orecchie, con un lapis nero senza punta che a me farebbe venire subito il nervoso: e per loro, invece, è proprio quel che ci vuole, amico intimo dei mozziconi di «toscano» in fondo a una tasca.

Già gli autocarri strombazzano, chiedono il passo ai più grevi, nella galleria di caricamento dove ognuno tira a cavarsela quanto più presto gli è dato: fremono già d’irrorare del suo giusto vitto (per la dimane) la città che precipita oggi al suo giusto mangiare, verso i dodici tocchi.

Alcuni pochi sono dei baldracconi sfiancati, sanguinolenti, col tetto a pioventi, d’un color verde municipale 1888: altri scivolano via lisci e laccati di bianco, modernissimi, ermetici: fuggitivi ai lontani spacci e negozi.

Undici tocchi: e tutta una filologia scaturirà nel negozio tra la bilancia e la cassa, tra il garzone di banco e la serva, tra l’accetta e il libretto: (4) una nomenclatura conclusiva e perentoria, combinata di punta, di lonza, di canetta, di aletta, di scamone, di bamborino, di fiocco, di magatello, di filetto, di fesa, di culatta, di polpa. Ogni storia si adempie e si determina in una filologia.

La complessa organizzazione del Macello Pubblico comprende un importante reparto di microscopia che fa capo all’Ufficio municipale d’Igiene e di Sorveglianza Veterinaria: e infine una scuola per allievi macellai. L’esame clinico degli animali vivi, delle carni e dei visceri viene così ad essere fiancheggiato da indagini microbiologiche sulle carni stesse, sui sieri, sul sangue. Si isolano e si perseguono mediante cultura bacillare ed analisi microscopica i germi de’ mali infettivi, del carbonchio, ad esempio, della morva, dell’afta. La presenza della trichina, il microscopico verme che infetta le carni del maiale e dell’orso, è confermata mediante proiezione luminosa traverso la lastrina del preparato. Un apparecchio fotoscopico palesa con chiara evidenza sul telone a muro i gomitoletti insidiosi de’ vermi, che appaiono come rannicchiati tra fibra e fibra, quasi fossero a pensione dentro il fascio muscolare.

La scuola dei garzoni macellai, sorta nel clima del buon volere fattivo ad opera del Consorzio e del Municipio, auspici il Sindacato di categoria e la Federazione Provinciale del commercio, è intesa a munire di un qualche fanale conoscitivo i velocipedastri dal camiciotto rigato e dal collo rubizzo che sogliono pioverci addosso nelle vie di città quando meno ce lo aspettiamo, alati messaggeri di ossobuco, lacett e rognon. Comprende due corsi, primo e secondo, dove nozioni pratiche sul bestiame da macello, sui suoi pregi e difetti, sui modi di constatazione di essi, sulle razze tipiche, sull’allevamento, sulla tecnica del mercato, sul taglio, sul computo delle rese, sull’utilizzazione de’ ricavati, sulle malattie più frequenti, sulle qualità delle carni, sui nomi d’uso nelle diverse piazze, ecc. ecc., vengono impartite dal signor Gaetano Bestetti con chiara voce e intelligente tranquillità d’animo. Egli ha tra mano il bastoncello de’ «cacitt» e se ne serve come il geografo della bacchetta a individuare sui corpi appesi i singoli organi, i tessuti, le parti. Esercitazioni di taglio (come per i tagliatori sarti) completano il corso, su qualche maiale o vitello o quarto di bue, agganciato ad uno speciale cavalletto verde pieno di opportunità didattiche.

I due libri di testo, di prima e seconda classe, sono molto chiari, conclusivi, e ben fatti.

Alla fine del corso alunni e docenti si raccolgono in gruppo per una gioviale fotografia collettiva sotto il sole di giugno: e la Cassa di Risparmio delle Provincie Lombarde conferisce lire 150 cadauno ai diplomi di primo grado, 100 ai secondi, 50 ai terzi.
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1. Ai limiti della campagna, nella zona periferica esterna dove ebbero sistemazione i macelli, sorgono case recenti, a sei piani: già cittadine e purtuttavia isolate: assai brutte, nei fianchi scialbati e nel tetto, in paragone delle vecchie cascine lombarde che i filari de’ pioppi e dei salci quasi nascondono, non fosse il fumo d’un camino a tradirle. Queste cascine, regolarmente distanziate l’una dall’altra, segnano la vecchia misura e la necessaria «giurisdizione» agricola della pianura lavorata.

2. Intendi: l’energia elettrica viene trasformata alla tensione di distribuzione; ch’è assai minore di quella di trasporto.

3. I negozianti vendono o commerciano bestiame in proprio: i commissionarî trattano per conto di terzi, cioè ditte importatrici o allevatori lontani: i macellai sono acquirenti, con bottega in città, e rivendono al pubblico.

4. Secondo il vecchio costume dei milanesi, il macellaio vende a credito, alle famiglie agiate: l’acquisto giornaliero viene segnato (marcàa) in un quadernuccio rilegato d’una teletta di poco prezzo, nera o rossa o azzurrina; sul fronte, impressa in oro, una testa di bue cornutissimo. Il regolamento del conto si fa a ogni fine mese. Il quadernuccio si chiama el librett, ed è uno dei pochi libri che ornino di lor presenza le case degli agiati lombardi.
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published by The Edinburgh Journal of Gadda Studies (EJGS)

ISSN 1476-9859

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sabato 7 novembre 2009

CONTRO I PREGIUDIZI VEGETARIANI, CONTRO L'EGOISMO (da www.comedonchisciotte.net)

Sono molti i luoghi comuni, i pregiudizi e i dubbi che si è costretti a sopportare, nei confronti del vegetarianismo militante. L’ingenuità e la falsità di tali argomentazioni rendono semplice il compito delle controparti. Sfatiamo qualche luogo comune.

1. Il consumo di carne come qualcosa di necessario per la salute:

Esiste la falsa credenza secondo cui il consumo di carne deve considerarsi necessario non solo per godere di buona salute, ma anche per non incappare in problemi di denutrizione. Si arriva perfino a collegare malattie come l’anoressia e l’anemia al vegetarianismo, un legame completamente sbagliato. Tutti gli elementi nutritivi, atti a condurre un dieta equilibrata e sana, sono contenuti in alimenti di origine vegetale. Il mito dell’assenza di proteine e di vitamine (tra le quali la B12) è stato abbondantemente smentito.


Di fatto, sempre più medici e nutrizionisti raccomandano la dieta vegetariana. L’OMS (Organizzazione Mondiale per la Salute) raccomanda la dieta vegetariana come la più salutare. Le statistiche dimostrano che le persone vegetariane vivono più a lungo, risultano meno dispendiose per la sanità pubblica e sono colpite da un minor numero di malattie oncologiche e cardiovascolari. Allo stesso tempo, vi sono sempre maggiori prove dirette del legame tra patologie che interessano lo stomaco, patologie cancerogene, cardiovascolari ecc. … e il consumo di carne.

Si crede anche che il vegetarianismo limiti molto la dieta di una persona, quando invece, gli alimenti di origine animale girano intorno ai 2.000 derivati e quelli di origine vegetale intorno ai 10.000. É assurdo pensare che noi vegetariani mangiamo sempre le stesse cose. Si possono preparare dei piatti deliziosi combinando legumi, cereali, ortaggi, frutta, frutta secca, ecc. … Di solito chi fa queste affermazioni segue una dieta che eccede nell’uso di carne e non riesce nemmeno ad immaginare quanto possano essere gustosi i piatti vegetariani, proprio perché non li ha mai assaggiati, non è mai andato più in là della carne.

Affermare che il vegetarianismo è sinonimo di malnutrizione o di denutrizione è un pregiudizio come molti altri prodotti dall’ignoranza e dal rifiuto della diversità, di chi sceglie un modo diverso di consumare. È un modo per isolare le minoranze, quelli che non agiscono come te, considerando a priori il consumo di carne come qualcosa di eticamente corretto. È anche un modo per auto-giustificarsi: “quello che faccio è buono”. Ma i dati e la realtà sono sempre lì e, come per molti altri aspetti della vita, solo nel mondo dei ciechi non si vuole vedere.

2. È che siamo onnivori…mangiamo carne per natura:

con questa grossa verità si vuole giustificare il fatto di contribuire, attraverso il consumo di carne, alla più selvaggia delle torture e delle morti patite dagli animali. Di certo siamo onnivori, ma che significa essere onnivori? Significa che il tuo corpo accetta ogni tipo di alimento, che non li rifiuta, ma questo non vuol dire che si è obbligati a mangiarli e che sia una cosa negativa rifiutare un determinato tipo di alimento. Insomma, non vuol dire che abbiamo bisogno di mangiare carne, ma semplicemente che in una concreta condizione evolutiva, il tuo corpo una volta ingerita non la rifiuta.

Dobbiamo però tener conto del fatto che l’essere umano, a differenza del resto degli animali, possiede un elevato grado di capacità intellettive e può scegliere cosa mangiare. Nell’attuale grado di sviluppo, dove in molti luoghi la depredazione e forme simili sono scomparse, scegliere di non mangiare carne è perfettamente compatibile col fatto di essere onnivoro.

Spesso si dice che gli animali si mangiano l’un l’altro e che noi esseri umani, come parti indissolubili di questa catena, siamo obbligati a mangiare carne in modo naturale al fine di non provocare uno “squilibrio”.

Prima di questo bisogna dire che non tutti gli animali si mangiano l’un l’altro, esiste una moltitudine di specie erbivore. Inoltre, gli animali che si mangiano tra loro non possiedono la capacità che abbiamo noi di scegliere cosa mangiare, essendo guidati più dall’istinto che dalla razionalità, cosa che noi possiamo (dobbiamo) invertire. In nessun modo si può affermare che il vegetarianismo di massa (cosa alquanto improbabile che si produca) possa provocare uno squilibrio naturale causando un “disastro ecologico”, anche perché la natura stessa possiede i suoi meccanismi di autoregolazione.

Bisogna considerare il fatto che, anche se siamo onnivori, il nostro corpo rassomiglia molto di più a quello degli erbivori che a quello dei carnivori. Scegliere di non mangiare carne non urta nessun principio naturale. Ma tutto dipende da cosa intendiamo per “naturale”. Le persone che difendono il consumo di carne perché è “naturale” si contraddicono. Naturale potrebbe essere, in ogni caso, se privi della nostra capacità di scegliere ciò che mangiamo e/o, potendo mangiare dei vegetali, ricorressimo alla caccia per non morire di fame e divorassimo un animale. Ma c’è forse qualcuno che mangia carne in un contesto come questo, nella Spagna dei giorni nostri?

Vediamo. Gli animali vengono prelevati dal loro habitat naturale e condotti in una fattoria, qui vengono fatti ingrassare in modo artificiale attraverso prodotti chimici e ormoni, vengono ammassati uno sull’altro e torturati. Attraverso potenti fonti luminose, a cui vengono sottoposti nel corso delle 24 ore, si provoca in loro uno stato in cui non riescono più a distinguere il giorno dalla notte, condizione che li porta ad ingrassare di più. Dopo di che vengono uccisi secondo un procedimento a catena* brutale e sanguinoso, facendo uso di macchine che provocano in loro una sofferenza atroce. È forse questo il processo naturale di cui parlano quelli che difendono il consumo di carne?

Con ciò non vogliamo dire che se gli animali stessero in migliori condizioni di vita-morte difenderemmo il consumo della carne. Siamo contro qualsiasi spargimento di sangue animale non necessario al consumo umano, poiché per mangiare un animale devi ucciderlo (con più o meno sofferenza) e se questo può essere evitato, di certo è molto meglio farlo. Ma nella società capitalista l’ambizione affaristica al guadagno, ammassa e tortura gli animali in queste condizioni, portandoli verso una morte selvaggia con metodi non proprio naturali.

È chiaro, che ci sono molti modi di intendere ciò che è “naturale”. Per la chiesa è innaturale usare un profilattico o essere omosessuale, perché essa crede che l’indole naturale di ogni essere umano sia la procreazione; allo stesso modo per gli esseri viventi è naturale mangiare carne, anche se per farlo si impiegano i metodi più innaturali possibili, anche se sulla loro stessa vita gravano principi innaturali, ecc…. Curiosamente, il fatto di mangiare carne viene difeso sulla base del principio di ciò che è “naturale” e sono “contro natura” quanti credono che la tortura e il dominio dell’animale siano evitabili in qualunque forma, come qualcosa di ingiusto e innaturale; dall’altra parte, è più che ragionevole che gli esseri sensibili non patiscano dolore. Difendere il consumo di carne come qualcosa di naturale significa difendere la tortura e la morte non necessaria come qualcosa di “naturale”.

3. Le piante sono esseri viventi, anche loro soffrono:

È certo che le piante sono esseri viventi. Ed è certo che noi vegetariani le mangiamo. Per di più, se qualcuno che mangia solo carne dicesse che “lui rispetta le piante” direbbe una grossa fesseria, poiché gli animali mangiano per lo più piante e lui non fa che mangiare l’animale che si è mangiato queste piante, nutrendo così con esse il suo corpo. In fin dei conti tutti mangiamo piante però…Soffrono? Finora, nessuna indagine è riuscita a dimostrare che sia così, esse possono apprezzare moltissime più cose di quanto crediamo ma la sofferenza e il dolore, allo stesso modo in cui lo patiamo noi animali (umani e non), non le riguarda. Le piante non possiedono né un sistema nervoso né cellule sensitive del dolore, perciò è abbastanza improbabile che soffrano. E se provano qualcosa questo non può essere comparato né qualitativamente né quantitativamente con la sofferenza degli animali.

Detto questo conviene ricordare che dobbiamo mangiare per sopravvivere, possiamo anche cibarci di pietre, ma potrebbe essere pregiudicante per la nostra salute (soprattutto per i denti). Scherzi a parte, in sostanza dobbiamo mangiare per sopravvivere, però possiamo farlo nel modo più etico e coerente possibile coi nostri principi. In questo contesto si inserisce il rifiuto del consumo di prodotti di origine animale dato che essi soffrono come gli esseri umani. Le piante possiedono caratteristiche sostanzialmente differenti ed è quanto meno avventato paragonare, sotto tutti i punti di vista, una mela che viene colta dall’albero con l’uccisione di un maiale.

4. È che il vegetarianismo è elitario e borghese

Forse esiste un certo vegetarianismo elitario, ma il vegetarianismo di per sé non è né elitario, né borghese, né proletario. È l’atteggiamento della gente che è così. Come una persona carnivora può comprare tutti i giorni frutti di mare e crostacei, un vegetariano può mangiare quotidianamente tofu e seitan. In entrambe i casi, per alimentarsi in questo modo si deve avere un elevata disponibilità economica, sebbene tali alimenti siano un lusso non necessario tanto per i vegetariani quanto per i carnivori. Però, siamo realisti, generalmente non mangiamo tutti i giorni questo tipo di alimenti (alcuni non lo fanno mai).

Al confronto, è molto più economica la verdura che la carne o il pesce. I vegetariani non sono ossessionati dalle erboristerie, non passano il tempo alla ricerca di prodotti costosi (allo stesso modo, gli altri non passano le giornate nelle pescherie). Di solito, le fiere e i mercati sono la miglior fonte di alimentazione per i vegetariani, qui il costo degli alimenti è molto più basso e la qualità è di gran lunga migliore di quella della carne. Noi stessi abbiamo notato dal nostro portafoglio che essere vegetariani è più conveniente e quindi, meno elitario.

Di conseguenza, affermare che il vegetarianismo sia elitario e borghese – come se solo quelli che appartengono alle alte sfere della società potessero permettersi di esserlo – si rivela una scusa vana, atta a giustificare il consumo di carne per fingere di fronte agli altri, o di fronte a se stessi, di essere un “rivoluzionario”. Il tutto perchè non si vuole vedere che il filetto di carne, perché arrivi sul tuo piatto, deve passare per un processo molto crudele fatto di autorità, dominio e sofferenza. Ma l’egoismo ci rende ciechi, e qualsiasi scusa è buona per continuare a perpetrare quest’ingiustizia. Puoi scegliere di non mangiarlo, ma questo implica un piccolo sforzo giornaliero che forse non si è disposti a fare. Al contrario, il non sforzarsi per combattere le ingiustizie, questo si che è un comportamento borghese. O erano forse borghesi i contadini anarchici dell’inizio del secolo che si avvicinarono al vegetarianismo? Sono borghesi le teorie naturiste che vedono nel vegetarianismo una critica selvaggia al consumismo, come pure un modo di vivere semplice e naturale?...

Conclusioni

Esistono molti altri luoghi comuni e pregiudizi sul vegetarianismo, ho solo cercato di indicarne alcuni, forse i più significativi. Di solito si dice che la carne è un alimento “molto ricco” senza fermarsi a pensare che la golosità o il sapore piacevole non compensa, ma perde d’importanza, quando si viene a sapere del dolore che ha dovuto sopportare quest’essere sensibile per diventare poi un alimento “così ricco”. Esistono piatti vegetariani (privi di ogni crudeltà) che sono altrettanto ricchi. Molte cose possono avere un sapore gradevole, il cane di casa tua ben cucinato può risultare “ricco”, anche il tuo fratellino ben condito potrebbe essere altrettanto gustoso, ma di sicuro non te li mangeresti. Sebbene il paragone possa sembrare un po’ duro, dovete solo recarvi in una fattoria di allevamento per rendervi conto del fatto che lì gli animali soffrono almeno quanto soffriremmo noi nelle medesime condizioni, o a dir poco in un modo molto vicino al nostro.

Si è soliti dire che “è una cosa che viene fatta da sempre, dall’inizio dei tempi”; un’argomentazione usata spesso da gente che appartiene all’ambiente “rivoluzionario”. Anche questa è una bugia, perché le maggiori ingiustizie sociali e lavorative sono quelle perpetrate per una vita intera, che hanno provocato un enorme spargimento di sangue, mentre cambiarle non costerebbe tanto. Che qualcosa sia stato fatto tutta la vita non è sinonimo di giustizia. Per fare un esempio, la società è patriarcale praticamente da sempre e questo non vuol dire che va bene così, ma tutto il contrario.

Il dominio e la tortura animale va molto più in là della corrida dei tori (che di sicuro è un atto di terrorismo), sono nelle pelliccerie, nei negozi di animali da compagnia, nei circhi, negli zoo …; e naturalmente nel consumo vero e proprio di carne animale. È curioso protestare contro le torture sofferte dagli animali e non farsi nessun problema a mangiarli. Allo stesso modo è curioso vedere gli ecologisti di Greenpeace salvare le balene dopo essersi mangiati un salmone o protestare contro la corrida dei tori mentre si è capaci di divorare una coda di toro senza batter ciglio. Ogni forma di dominio sugli animali, dal consumo di carne alla corrida dei tori, sono i rami di uno stesso tronco specista che vede gli animali come meri oggetti al servizio dell’essere umano, così come la società patriarcale vede le donne come semplici oggetti al servizio dell’uomo.



Quando si raccontano spiritosaggini speciste sulle persone vegetariane, bisogna pensare che c’è gente che vede gli animali come qualcosa di più di un semplice oggetto al nostro servizio da torturare e uccidere in allegria, e che possono quindi non gradire tale spirito. Così come dobbiamo eliminare le spiritosaggini razziste e maciste (il che implica anche il non consentire che vengano dette), bisogna anche cercare di smetterla con quelle speciste. Così come per te un’ arrosto è un banchetto fenomenale, ci può essere gente al tuo fianco che vede solo dei cadaveri che sono stati assassinati per un consumo non necessario.

Evidentemente, la lotta per la liberazione animale non è una lotta isolata. Si trova all’interno di un’infinità di lotte che molti pensano debbano essere moderate. Sta all’interno delle lotte antiautoritarie e anticapitaliste. E pertanto, così come non intendiamo riformare il capitalismo, correggere lo stato o camuffare il patriarcato, tanto meno desideriamo che gli animali soffrano meno; vogliamo bensì che non soffrano né muoiano a causa di un consumo egoistico e non necessario; e questo non in maniera isolata, ma per contribuire alla realizzazione di un cambiamento radicale nella trasformazione sociale, ed avere così una società senza oppressori, né oppressi per questioni di etnia, sesso e anche per questioni che riguardano la specie.

Fonte: www.lahaine.org/
Link:http://www.lahaine.org/articulo.php?p=8424&more=1&c=1
4.07.05

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di MONIA

Procedimento a catena *I maiali vengono fatti salire per una stretta rampa dove lo "storditore" dà loro una scossa elettrica che dovrebbe ridurli all'incoscienza, come richiesto dalla Humane Slaughter Act (Hsa), approvato nel 1958 ( va notato che i polli, di gran lunga gli animali d'allevamento macellati in maggior quantità, sono esplicitamente esclusi dalle prescrizioni dello Hsa.
Dopo essere stati ridotti all'incoscienza, i maiali vengono incatenati e appesi per le zampe posteriori, in modo che penzolino a testa in giù, su un nastro trasportatore che li conduce verso il "macello", il cui compito è quello di tagliar loro la gola.
Dopo esser morti per dissanguamento, i maiali vengono immersi in un serbatoio di acqua bollente ed eviscerati, senza aver mai più ripreso conoscenza. Questo è si suppone che succeda. In pratica, come dimostrato da gail Eisnitz nella sua indagine clandestina sull'industria americana della macellazione spesso le cose non vanno così...
E' frequente che i maiali finiscano nella vasca di bollitura ancora pienamente coscienti. Come affermato da un operaio: "Questa è la regola"

Tratto da: Tom Regan "Gabbie Vuote" Ed. Sonda 2005