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lunedì 28 marzo 2011

Soltanto per loro: appena uscito!

Appena uscito per Aracne: per approfondire o acquistare on line: http://store.aracneeditrice.com/it/libro_new.php?id=5683

ISBN: 978-88-548-3887-1

Soltanto per loro. Un manifesto per l’animalità attraverso la politica e la filosofia

Leonardo Caffo

Anno pubblicazione: 2011

Formato: 17 x 24 cm

Numero pagine: 136 / Pagine scelte per te

Prezzo: 9,00 euro

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Richiedi saggio: Docente / Giornalista

Anno dopo anno miliardi di animali non umani vengono uccisi per diversi scopi: nutrimento, abbigliamento, ricerca e divertimento. Una situazione analoga, ma con gli umani per oggetto, non sarebbe ovviamente tollerata; ma perché tolleriamo – e anzi giustifichiamo – una pratica e non l’altra? La risposta non è per nulla banale e ci spinge a guardare oltre il vivere quotidiano attraverso un percorso filosofico e politico.

giovedì 24 marzo 2011

Mio articolo sul quotidiano Liberazione



Oggi è uscito un mio articolo sul quotidiano Liberazione, anche se mi sono scordato di comprarlo. Si può leggere cliccando qui.

lunedì 28 febbraio 2011

Liberazioni, nuovo numero!

Liberazioni Rivista di Critica AntispecistaLiberazioni n.4
Rivista di Critica Antispecista
Primavera 2011

> Officina della teoria
Massimo Filippi
Storia naturale. Tesi per una filosofia della natura

Roberto Marchesini
Filosofia postumanista e antispecismo

> Territori delle pratiche
Marco Maurizi
La disputa sugli argomenti indiretti: un falso problema

Steven Best
Un movimento per la liberazione totale

> Tracce e attraversamenti
Leonardo Caffo e Massimo Filippi
Cartesio e la separazione indimenticabile

Emilio Maggio
Considerazioni sul cinema inumano di Michelangelo Frammartino

Leonardo Caffo
Non serve la fantascienza. Note su automi, animali e teoria della mente

Eva Melodia
Riflessioni su buddismo e antispecismo

lunedì 27 dicembre 2010

Pubblicità, se non lo vedi non ci credi.

Questo pezzo lo avevo scritto per La Voce dei Senza Voce un po' di tempo fa, e si vede. Tra una cosa a l'altra anche questo non è andato in stampa ed è finito nella mia fatidica cartella "lavori minori senza collocazione". Lo colloco qua, e buonanotte.

_____________________________________

Per quanto fervida possa essere la nostra immaginazione ci sono cose a cui non possiamo arrivare da soli, informazioni sugli stati di cose del mondo che hanno bisogno di essere svelati, chiariti ed esplicitati. Per quanto possa sembrare immediato vedere in una bistecca un pezzo di cadavere o in una pelliccia la sofferenza dei visoni, le cose non stanno esattamente così. Obliterare è il compito che spetta alla “mano invisibile” della società, così avremo polpette invece di brandelli, hamburger invece di scarti, inserti in camoscio invece che in pelliccia di animali squartati e così via. Facciamola breve, e se ci sono filosofi che leggono mi perdonino. Oggi assistiamo ad un teatro di maschere e travestimenti linguistici per cui le cose, sono “altro” rispetto alla loro natura. Nella società dei consumi la pubblicità svolge un ruolo fondamentale, trasmettere a potenziali acquirenti (o fruitori in generale) informazioni svolte alla promozione di un determinato oggeto X. Ovviamente esistono anche pubblicità prettamente informative anche se in realtà si cela sempre la vendità di qualcosa, ad esempio una campagna a favore della donazione di sangue non vende niente in senso stretto ma vuole comunque attirare potenziali donatori ad un loro “prodotto”, ossia la donazione stessa. Il preambolo dell'articolo, come si è visto, concentrava l'analisi sul nascondimento dei prodotti di origine animale, cosmetici, alimenti, vestiari e chi più ne ha più ne metta. Associazioni animaliste, di varia natura, come LEAL per cui ora scrivo, cercano attraverso campagne pubblicitarie di contribuire come possono al disvelamento degli inganni a cui la società dei consumi ci ha portato. I messaggi sono vari, dalla ribellione alla vivisezione ad una più responsabile alimentazione. Dove va una pubblicità? Va dove la gente può vederla e leggerla, dunque soprattutto in giornali e riviste. Questi giornali, quotidiani soprattutto, pubblicano le pubblicità delle varie associazioni e tutti possono sapere cosa succede … No, non va così purtoppo e le campagne animaliste, nella loro prima versione (talvolta anche nella seconda), vengono continuamente rifiutate. Perché? Viene spontaneo domandarselo ma la risposta è molto articolata ed ha a che fare con quella “mano invisibile” di cui parlavo inizialmente. Sia chiaro, nessuno vuole essere complottista; l'analisi che faccio in questa sede muove da alcuni dati sul respingimento di pubblicità promosse da associazioni animaliste da parte di alcuni importanti quotidiani. Il comunicato stampa emesso da Campagne per gli animali in data 10 Giugno 2010 per annunciare la pubbblicazione della reclame “Ti guardano tutti negli occhi” su La Repubblica riporta il seguente dato, sia La Repubblica stessa che altri quotidiani quali, Corriere della Sera, La Stampa, Il fatto quotidiano hanno rifiutato di pubblicare la campagna nella versione originale in cui era stata pensata dagli autori mentre, nella sua versione riveduta, solo La Repubblica, infatti, ha accettato il lavoro. La pubblicazione del messaggio sul quotidiano è costata 7500 euro ed è stato, probabilmente, uno dei primi messaggi volti alla comunicazione dell'antispecismo in un quotidiano nazionale a grande tiratura. I rifutui dei quotidiani si concentrano principalmente sul contenuto troppo “forte” delle immagini proposte dagli animalisti ma attenzione, questo contenuto non è altro che la verità. Gli animalisti, e le associazioni che si fanno portavoci, non ritoccano mai le immagini perché, purtroppo, non ne hanno bisogno. Negare alla gente di vedere quelle immagini significa negargli la verità, le foto di animali squartati, torturati e vivisezionati sono il ritratto di ciò che accade constantemente in tutto il mondo. Chi non vuole rendere pubblico ciò che accade, non rende pubblica la verità. Nel dialogo La Repubblica il filosofo greco Platone narra, tra le cose, il suo mito più celebre quello della caverna che non racconterò, per esigenze di spazio, nella sua integrità ma che parafrasando possiamo immaginare come una rifessione sulla scoperta della realtà delle cose che ci circondano; viviamo in una caverna incatenati in cui tutto sembra avere una forma diversa e distorta rispetto alla natura intrinseca delle cose, liberati dalla caverna ciò che troviamo è la realtà nella sua brutalità. Per esigenze come le nostre, dentro la caverna si parlerà di spiedini e hamburger, fuori di cadaveri e sofferenza. I quotidiani che si rifiutano di pubblicare le campagne animaliste sono i guardiani di questa caverna, accecati dalla ignoranza e dal rispetto per le gerarchie contribuiscono, inconsapevolmente, a mantere tacite e silenziose tutte le pratiche di sofferenza attuate sugli animali. Impedire la conoscenza delle cose e impedire all'umanità di avvicinarsi alla libertà.

mercoledì 8 dicembre 2010

Risposta ad un'insolita lettera del Giornale

Queste righe vorrebbero essere una replica alla lettera che compare qui.
Inviata a Mario Cervi, che ci aveva invitato a rispondere, non è stata mai pubblicata.

Che il nostro tempo sia pieno di “follie” ne siamo certi. Che autorevoli filosofi abbiano cercato di giustificare dei massacri… anche di questo non possiamo dubitare. D’altra parte sappiamo bene che anche degli uomini normali c’è poco da fidarsi: "La società fa gran conto del suo uomo normale: educa i fanciulli a smarrire se stessi e a divenire assurdi e ad essere così normali. Gli uomini normali hanno assassinato 100 milioni circa di loro simili uomini normali negli ultimi cinquant'anni", scriveva ormai quasi mezzo secolo fa Richard Laing e il massacro dei normali continua indisturbato. Ma andiamo per punti, o almeno proviamoci.
In un tempo pieno di “follie”, spesso i rimedi sono visti come altrettanto folli e la loro follia risiede, probabilmente, nella volontà, quasi utopica, di modificare strutturalmente lo stato delle cose, non adattandosi ad esso, ma cambiandolo dall'interno. L'animalismo, quello vero, non ha nulla a che fare con “quelle cure disgustose e bamboccesche” verso gli animali da compagnia, men che meno col manifesto della Brambilla dove si chiede di far soffrire un po’ meno gli animali trucidati per le nostre egoiste (e primitive) papille gustative.
L'animalismo, quello vero, quello che, neanche a dirlo, poggia su solide posizioni filosofiche, è sinonimo di antispecismo, un movimento teorico dagli immediati risvolti pratici e morali, che rifiuta la discriminazione, lo sfruttamento ed il massacro degli animali per vestirci,nutrirci, divertirci e per scopi scientifici.Questa discriminazione che - per citare il filosofo Max Horkheimer - ha relegato gli animali nella cantina dell’edificio (un grattacielo) che rappresenta la nostra società umana, fondala sua natura, crudele, sulla credenza che la sola appartenenza ad una diversa specie giustifichi - eticamente - il diritto di disporre della vita, della libertà e del lavoro coatto di un altro essere senziente.
Essere animalisti significa dare voce a chi, della voce, è stato privato. Significa soffrire ogni giorno che passa guardando, inerti, un massacro senza eguali che vede morire, per la sola alimentazione, circa cinquanta miliardi di animali ogni anno. Capite bene? Cinquanta miliardi di esistenze spezzate per nutrire una piccola porzione di umanità. Piccola porzione che, nonostante tutto, continua a gridare l'inno perbenista della fame nel mondo: un problema reale ma che, visto ilnumero di animali massacrati e la grande indifferenza verso questa crudeltà, possiamo “azzardare” creato consapevolmente e messo sulla bilancia nelle discussioni solo per placare la nostra cattiva coscienza nei confronti degli animali non umani. Quanto alle citazioni che il lettore de La Stanza sciorina con incurante superiorità, forse quei filosofi da cui sono tratte bisognerebbe conoscerli un po' meglio (insieme a tutti quelli che hanno fatto della questione animale un tema centrale delle loro speculazioni). Citare Immanuel Kant non è una buona mossa perché il filosofo di Königsberg riteneva che la crudeltà nei confronti degli animali fosse male in quanto preludio della crudeltà sull’uomo. La “rude semplicità” invocata dal lettore de La Stanza, infine, non sappiamo davvero cosa possa significare. Che esseri viventi in grado di soffrire, gioire, provare diversi tipi di dolore, emozionarsi e talvolta parlare (per approfondire invitiamo a consultare gli studi sulla cognizione animale), debbano essere visti come “esseri di limitato valore”, francamente sconforta e terrorizza. Parole simili sono già state pronunciate nel corso della storia (nei confronti di diverse etnie umane) ed è qui inutile ricordare qui come poi siano andate le cose. Essere violenti ed intolleranti nei confronti della differenza denota scarso senso civico, ma soprattutto, la violenza contro gli inermi è accettazione dello sterminio. Visto che la filosofia (quasi fosse un oggetto di cui tutti possiamo abusare) è stata tirata in mezzo, si può concludere questa lettera parafrasando Derrida proprio sul concetto di differenza: l’identità non è qualcosa di dato oggettivamente ma si determina in relazione ad altro, nel differire da sé. In sostanza di “follie”, nel nostro tempo, ne esistono davvero molte, tutto sta nel capire quando, a denunciare queste follie, sono proprio i folli del nostro tempo.

Per Oltre la specie (www.oltrelaspecie.org)
Leonardo Caffo

sabato 27 novembre 2010

LIBERAZIONI: Anno I · n. 3 · Inverno 2010

Liberazioni n.3
LIBERAZIONI Rivista di Critica Antispecista
Anno I · n. 3 · Inverno 2010
> Officina della teoria
Matthew Cole
Dagli “animali macchina” alla “carne felice”
Un’analisi della retorica del “benessere animale” alla luce del pensiero di Foucault sul potere disciplinare e su quello pastorale
Raffaele Mantegazza
Un cantico per le creature
Tracce animaliste nel pensiero cristiano
Leonardo Caffo
Linguaggio e specismo
Tra Sapir Whorf e la questione animale
> Territori delle pratiche
Steven Best
Welfarismo, diritti animali e liberazionismo
Uno sguardo sul movimento animalista negli Stati Uniti
Aldo Sottofattori
Sugli argomenti indiretti e su quelli diretti
> Tracce e attraversamenti
Leonardo Caffo e Massimo Filippi
L’amore ai tempi dello specismo
Scimpanzé, investigatori e la quotidianità del male
Francesco Pullia
Per un’ontologia antispecista
Aldo Sottofattori
Farefuturo e gli animali
L’intraprendenza della destra nel panorama animalista
Filippo Trasatti
Nel sottosuolo, alla ricerca dell’origine perduta

giovedì 25 novembre 2010

COME SCRIVERE UN SAGGIO DI FILOSOFIA

Tratto da qui

1. Lo scopo della relazione di filosofia

Un elaborato di filosofia deve proporre l’analisi critica di una tesi ed una difesa ragionata di una certa posizione. (es. In queste pagine mi propongo di offrire alcune ragioni per rifiutare la tesi espressivista di Gibbard secondo la quale.... In alternativa, propongo di considerare alcuni argomenti avanzati a favore della interpretazione realista dei giudizi morali, secondo la quale...)
Ogni opinione deve essere difesa sulla base di ragioni (es. La critica di Williams alla teoria etica mi sembra poco convincente perché si basa su una concezione molto peculiare e ristretta dei compiti della teoria).

2. Le virtù di una relazione di filosofia

* Chiarezza: cercate di esprimervi in modo semplice e diretto. Usate un linguaggio semplice e conciso. La chiarezza è più importante dell’eleganza letteraria in questo caso. Usate i termini filosofici con accuratezza e precisione (consultate il dizionario filosofico se non siete sicuri).
* Analisi degli argomenti: offrite un’analisi critica del problema filosofico, presentate diversi approcci e confrontateli. Il lettore non è interessato alla vostra opinione in quanto tale, ma al modo in cui la difendete, alle vostre ragioni. Rendete le vostre ragioni esplicite. Provate a vedere a quali obiezioni sono vulnerabili. Cercate di rimediarvi.
* Offrite degli argomenti a favore della tesi che difendete. (A favore della tesi dell’autonomia si possono esibire certe pratiche comuni come quella del biasimo. Si biasimano le persone quando le si ritiene responsabili di una qualche azione cattiva. Se non attribuissimo loro autonomia, non avrebbe senso biasimarle.)
* Rendete chiara la struttura dell’argomento facendo spesso il punto della situazione. (Ho difeso la tesi dell’autonomia ricorrendo a due ordini di ragioni. In primo luogo, ho fatto notare che la pratica morale del biasimo presuppone l’attribuzione di autonomia. In secondo luogo, ...)
* Usate esempi per illustrare una tesi o per mostrare che vi sono contro-esempi alla tesi che state esaminando. (L’esempio di Gauguin così presentato mostra che gli obblighi morali non possono avere sempre priorità deliberativa. Il caso di Anna Karenina mostra che certi progetti fondamentali sono soggetti alla sorte e che quindi il giudizio morale su di essi può essere solo retrospettivo.)
* Date sempre una motivazione: perché vi interessa questo tema? Perché ritenete sia importante? (Il mio scopo è fornire una rappresentazione adeguata del disaccordo morale. Ciò è particolarmente rilevante per capire se ci sono disaccordi che resistono all’argomentazione razionale e che conseguenze hanno sulla convivenza civile.)
* Cercate sempre di dare la lettura più caritatevole dell’argomento che presentate, non riducete l’avversario ad una posizione ridicola: altrimenti perché bisogna prenderlo in considerazione?
* Quando proponete un’obiezione, cercate di immaginare si potrebbe replicare e indagate se l’autore in questione ha effettivamente preso in considerazione il tipo di obiezione che avanzate. Considerate se tali repliche (effettive o possibili) sono convincenti.
* Organizzazione logica: ciò che scrivete deve essere ordinato, argomentato e giustificato. Usate solo espressioni necessarie ad esprimere la vostra posizione. I paragrafi e le sezioni devono esibire una struttura logica.
* Avete poco spazio a disposizione: utilizzatelo per esaminare làargomento nei dettagli, non perdete tempo a dare informazioni generali (es. NON iniziate così Kant è un filosofo illuminista molto importante per l’etica contemporanea, nacque a Konigsberg una ridente cittadina della Prussia...MA così: Oggetto di questa relazione è la tesi kantiana dell’autonomia; sosterrò che vi sono buone ragioni per difendere una concezione kantiana dell’autonomia, in particolare....)
* Rendete esplicite le vostre tesi. (A mio avviso la tesi kantiana dell’autonomia spiega la nostra esperienza ordinaria della morale.)
* Nel primo paragrafo introduttivo illustrate lo scopo della relazione e il metodo (che cosa cercate di mostrare e quali sono I vostri argomenti). (Lo scopo di questo articolo è di difendere la tesi kantiana dell’autonomia. A questo scopo, userò due argomenti che fanno riferimento all’esperienza ordinaria.)
* Durante l’argomentazione ricordate al lettore a che punto siete nel vostro ragionamento, e che cosa si deve aspettare. Rendete la struttura dell’argomento esplicita e date sempre delle segnalazioni al lettore (Avendo presentato l’argomento a favore dell’autonomia, bisogna ora considerare se questo è un modello di autonomia desiderabile. È ciò che mi propongo di fare nella prossima sezione.)
* Concludete cercando di mostrate in che modo questa discussione è stata utile (a chi scrive, e a chi legge)
* Originalità: non è sufficiente fare una lista delle posizioni o di considerazioni slegate sul problema X, bisogna dare una struttura logica alla discussione. Ciò non significa che dovete dare un contributo filosofico originale, ma che dovete mostrare di poter difendere una convinzione filosofica sulla base di un argomento.

3. Abbozzi e schemi di argomentazione

Una relazione di filosofia deve esibire una struttura ed una organizzazione logica. Per renderla evidente, è utile avvalersi di abbozzi o schemi di argomentazione. Dite esplicitamente e chiaramente: a) lo scopo che vi prefiggete, b) per quale ragione ritenete che sia importante affrontare questo tema, c) presentate gli argomenti precisandone bene gli stadi (rendete esplicite le assunzioni implicite, segnalate i passaggi critici, immaginatevi le obiezioni, le repliche, fate esempi o contro-esempi), d) chiarite quali conseguenze seguono dalla vostra discussione.
4. Citazioni e Note

Se citate una fonte usate virgolette o separate il testo citato dal resto e indicate la fonte in nota.
Date sempre riferimenti bibliografici complete, secondo questo metodo:
Libro: Nozick R. (1981), Philosophical Explanations, Cambridge: Harvard University Press
Articolo in rivista: Rawls J. (1980), “Kantian Constructivism in Moral Theory”, Journal of Philosophy, 77, pp. 515-572
Volume collettaneao: Engstrom S. & J. Whiting (1996) Aristotle, Kant, and the Stoics, Cambridge: Cambridge University Press
Articolo in volume collettaneo: Herman B. (1996), “Making Room for Character”, in Engstrom, & Whiting 1996, pp. 36-60

Per i riferimenti nel testo, segnalate cognome dell’autore, data, pagina: Nozick 1981, p. 203.

Ogni attribuzione deve essere suffragata da riferimenti bibliografici (es. Williams attacca la tesi imparzialista, vd. Williams 1981, p. 15). Le citazioni debbono essere segnalate da virgolette e commentate. (es. Come scrive Williams: “xwy”, Williams 1981, p. 15. Questo passo mette in luce…)

5. Plagio e integrità accademica

Se la tesi che sostenete è derivata dalla lettura di lavori altrui, dovete riconoscere il vostro debito intellettuale in nota e citare precisamente la fonte da cui avete tratto ispirazione. Citare passi da altri lavori senza usare virgolette e senza riconoscere in nota la fonte è una violazione grave dell’integrità accademica: si chiama plagio.

domenica 21 novembre 2010

quiddities, cose da pazzi


Qualcuno dice che i giovani d'oggi non hanno voglia di discutere, di fare. Lo stesso qualcuno dice anche che non ci sono più le mezze stagioni, qui forse dice il vero, forse no.
Comunque, mentre i giovani stanno sdraiati sul divano, e fuori piove d'estate parlano di cose inutili, Dio, Scienza e libero arbitrio (saremo liberi di non avere un libero arbitrio?)
Comunque, registratevi qua, se siete ciovani senza speranza: quiddities!

martedì 16 novembre 2010

Non essere Dio di Vattimo

voto
Uno scrittore e un filosofo s'incontrano e dialogano per giorni... No, aspettate, ricominciamo. Due signori programmano la scrittura di un libro con intenti (un po'?) pubblicitari, raccolgano un po' di avventure (romanzate?) del protagonista - il filosofo - ed il risultato è un'autobiografia a quattro mani. Perché uno dovrebbe pensare di essere Dio? Leggendo il libro non si capisce ma si intuisce che non essere Dio dovrebbe implicare essere creature mortali e sofferenti che sbagliano infinite volte nel sentiero dell'esistenza. Vattimo racconta la sua vita a Paterlini che trascrive il tutto, anche se la maggior parte del testo narra gli episodi in prima persona. Veniamo a conoscenza dell'infanzia del filosofo, della guerra, delle sue esperienze da esule calabrese, del suo rapporto con un frate tomista che se lo portava in montagna a fare gli esercizi spirituali (ma a cui non ha mai confessato di essere gay). Scopriamo che le Brigate rosse lo volevano far fuori (a Vattimo, perché ricopriva, a quanto pare, una posizione fastidiosa), delle esperienze come preside di facoltà a Torino e del suo unico vanto che dice di aver sempre conservato... la libertà. A leggere attentamente il libro, analizzando il suo modo di esprimersi viene da chiedersi... Cosa intenderà Vattimo per libertà? Libertà di espressione? Libertà di filosofare? In alcuni punti il libro diventa interessante, ad esempio quando il filosofo racconta come nel 1961 tenne la prima conferenza filosofica tenuta a Torino, davanti a quelli che lui definisce i “mostri sacri” della filosofia di allora: Abbagnano, Chiodi, Guzzo, Bobbio, Pareyson etc: «Ho venticinque anni, il mio narcisismo è alle stelle»… Criptico come sempre. Uno spera che almeno quando non fa filosofia Vattimo sia chiaro, ma poi purtroppo scopriamo che Vattimo fa sempre filosofia, ovvero, è sempre poco chiaro. Leggendo Non essere Dio si trovano contraddizioni addirittura nel racconto autobiografico! Certo, si apprezza - e non poco - che un uomo che ha già raggiunto l'apice del successo scelga di mettere in piazza la sua esistenza, le sue debolezze, i trascorsi burrascosi, le paure e, infine, le grandi soddisfazioni che lo hanno portato ad essere dov'è adesso. Vattimo si sofferma - e quanta tenerezza si prova - sul 1979, anno in cui il “pensiero debole” diventa il titolo di un libro collettivo e ci dice «sembra incredibile oggi che tutti ne rifuggono come dalla peste»; per chi ha letto quel libretto sa che sarebbe impossibile non sfuggire da una tale radicalizzazione del pensiero di Heidegger, uno da cui, sicuramente, Vattimo ha imparato la chiarezza espressiva (sono sarcastico, per precisare eh). Questo libro edito da Aliberti racconta la vita di un uomo filtrata dagli occhi di un giornalista; si apprezza sicuramente la volontà di mettersi in gioco, di narrare se stessi. Ma una domanda si mostra in tutta la sua autenticità: per essere davvero liberi in un paese come questo abbiamo solo due strade, o non essere Vattimo o essere Dio?

domenica 7 novembre 2010

martedì 5 ottobre 2010

Associazione culturale liberazioni

www.liberazioni.org Newsletter n.13 / Ottobre 2010
IL PRIMO NUMERO!
Liberazioni n.1 LIBERAZIONI n.1
Estate 2010
vedi l'indice >
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NUMERO IN USCITA
Liberazioni n.2 LIBERAZIONI n.2
Autunno 2010

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Un caloroso benvenuto ai nuovi e ai vecchi iscritti!

Sono tante le novità che quest’anno hanno interessato il gruppo che da alcuni anni lavora al progetto «Liberazioni».

Per prima cosa, da Marzo abbiamo fondato l'Associazione Culturale Liberazioni, con la quale abbiamo ribadito il nostro impegno a lottare, attraverso la riflessione e il confronto, per ciò che da sempre ci preme: la liberazione degli animali nonumani e umani.
L’Associazione è aperta a chiunque condivida le finalità esplicitate nello statuto e, ovviamente, aborri ogni forma di violenza verso gli animali. Sul sito sono disponibili tutte le informazioni su come associarsi e la domanda di ammissione da compilare e inviare.

La seconda novità è che la ventata di rinnovamento ha riguardato anche la rivista di critica antispecista Liberazioni, da alcuni anni presente sul web, e che da quest’estate, con l’uscita del primo numero, è disponibile in versione cartacea a cadenza trimestrale. Il prezzo di copertina è 5€, l'abbonamento annuale (4 numeri) è 18€ incluse le spese di spedizione. Sul sito trovate tutte le informazioni su come abbonarsi. L'associazione è senza fini di lucro e la redazione e i collaboratori partecipano a titoli gratuito, pertanto ogni introito verrà reinvestito esclusivamente per la pubblicazione della rivista o su attività ad essa associate (incontri, dibattiti, ecc.). L'obiettivo è distribuire la rivista in maniera capillare e non solo in ambito animalista, affinché le tematiche antispeciste e la Questione animale coinvolgano sempre più persone.
Se volete aiutarci a distribuirla, potete scrivere a: abbonamenti@liberazioni.org.
Se volete contribuire con articoli o segnalazioni, potete scrivere a: redazione@liberazioni.org.

Infine, abbiamo rinnovato anche il sito, nella veste grafica come nei contenuti. Vi troverete tutti gli aggiornamenti sulle uscite della rivista e le attività dell’associazione, oltre all'archivio degli articoli pubblicati. Suggerimenti, critiche e consigli sono ben accetti!

A presto!


Liberazioni Newsletter
a cura della Redazione: redazione@liberazioni.org
Per iscriversi o cancellarsi: www.liberazioni.org

lunedì 27 settembre 2010

I confini dell'umano visti da un albergo?

Un po' di tempo fa avevo scritto questo articoletto che è in realtà una doppia recensione poi, rileggendo, non mi è più piaciuto e non l'ho mandato in pubblicazione. Lo metto qua, forse a buon rendere, forse no.

Anche l'uomo più miserabile è in grado di scoprire le debolezze del più degno,

anche il più stupido è in grado di scoprire gli errori del più saggio.”

(Adorno)


Introduzione


Esistono tanti e svariati modi di scrivere. Gli argomenti sono diversi, così come sono diversi gli stili di scrittura e il modo in cui ci si approccia nel riempire il primo fatidico foglio bianco. Si può scrivere per infiniti motivi, per amore, per gloria, per vanità… Ma si può scrivere anche per una causa che trascende la limitatezza delle pagine che si stanno riempiendo e, nella maggior parte dei casi, i testi o gli articoli in tal modo prodotti rappresentano qualcosa di più grande rispetto ad un semplice oggetto di lettura. Esempi innumerevoli si possono citare ognuno dipendente dal suo contesto di riferimento; la Bibbia, per il cattolico, trascende l’oggettualità della cosa e diventa l’orizzonte a cui guardare durante tutta la propria esistenza; il DSM per lo psichiatra diventa l’oracolo della sintomatologia, ecc… Nella storia della filosofia sono stati prodotti molti testi ma pochi sono diventati la Bibbia (o il DSM) del filosofo, dentro l’insieme di questi pochi testi hanno un posto di rilievo, ad esempio, la Critica del Giudizio di Kant o La Monadologia di Leibnitz. Possiamo immaginare la filosofia come un’enorme categoria di cose contenente, al suo interno, innumerevoli sottocategorie rappresentate dalle diramazioni concettuali della categoria stessa (Filosofia Morale, Filosofia del Linguaggio, Estetica, ecc…). Una di queste sottocategorie, la Filosofia Morale, ha dei confini complessi da definire. Morale rispetto a cosa? Qual è l’estensione territoriale di questa scienza? Filosofi di ogni epoca hanno discusso questa questione, qualcuno come già Pitagora estendeva la questione morale anche al regno animale non umano altri, come invece Aristotele, la restringevano all’umano. Nonostante la complessa discussione la filosofia morale “animale” è ormai una disciplina attiva, articolata e complessa. Anche in questa sottocategoria della filosofia esistono dei testi di riferimento, sopra tutti Liberazione Animale di Peter Singer e Diritti Animali di Tom Regan. La produzione letteraria in questo campo è relativamente ridotta rispetto ad altri settori e i motivi sono molti; l’interesse per la questione animale e molto scarso, qualcuno crede che si sia già detto tutto e, spesso e volentieri, i testi prodotti sono contro questa disciplina come, ad esempio, il discusso Gli animali hanno diritti? di Roger Scrouton. Alcuni momenti e contesti risultano favorevoli per la produzione letteraria in certi settori, gli incontri tra uomini, le discussioni, le collaborazioni, possono sfociare, in alcuni casi, in dei lavori comuni che violano la regola per crearne di nuove. Milano da un po’ di anni a questa parte sembra essere diventata il centro dell’elaborazione filosofica e politica della questione animale. Sancire i momenti precisi in cui le cose iniziano non è mai facile ma individuare gli attori di questi momenti è un compito più semplice. Ai fini di questo articolo si citeranno solo due nomi: Massimo Filippi e Filippo Trasatti. Eviterò di raccontare vite e qualifiche curriculari “tipo lista della spesa” di queste due persone, ma mi soffermerò su un dato fondamentale per dare uno sguardo nuovo alla questione animale: l’uscita contemporanea di due nuovi testi Ai confini dell’umano1 e Nell’albergo di Adamo.2 Il primo dei due testi è scritto da Massimo Filippi e rappresenta un nuovo e complesso tentativo di approcciarsi alla questione animale ponendo come punto d’arrivo (e in verità anche di partenza) la morte “ridotandola” della sua necessarietà. Il secondo libro è curato da Filippo Trasatti e Massimo Filippi e contiene, in quanto antologia di testi, numerosi contributi di filosofi e teorici che tentano, ognuno in modo originale, una descrizione strutturale della situazione animale.


Ai confini dell’umano. Gli animali e la morte.


Stanisław Jerzy Lec, poeta e scrittore polacco, pensava che il primo sintomo della morte fosse la nascita. Aveva ragione? In un certo senso sì, come si dice il giusto se si afferma che nel momento in cui si inizia a percorrere un sentiero finito si è già pronti a terminarlo. Il naturale percorso dell’essere vivente tende alla morte tanto quanto un grave lasciato cadere da una torre tende verso il terreno (è quella che Aristotele avrebbe chiamato “causa finale”). La cultura contemporanea è impegnata nel dominare l’irrazionalità ed in questa operazione domina se stessa e il suo più grande terrore: “la realtà esterna” che può essere riassunta con il termine di morte. Adorno spiegava questa negazione della morte da parte dell’uomo sociale come una negazione stessa del corpo e della nostra radice biologica più profonda: l’animalità. Attraverso la società dell’uomo razionale la morte perde la sua caratteristica di proprietà essenziale e sprofonda nella leggerezza della contingenza. Le critiche a questa visione “stereotipata” della morte sono, nella storia della filosofia e del pensiero in generale, continue e complesse, basti pensare ad Heidegger e alla sua visione della morte come la “possibilità della pura e semplice impossibilità dell'Esserci”. Tutte queste critiche però, lo si nota immediatamente, sono impregnate dello stesso elemento che si vorrebbe criticare: l’antropocentrismo; per quanto si cerchi di reincorporare la morte nella dimensione dell’esistenza, infatti, questa esistenza rimane sempre esclusivamente umana e non ne trascende mai i suoi confini...

Un nuovo tentativo di percorre universalmente questo viaggio verso la morte è stato fatto, come accennato nell’introduzione, da Massimo Filippi che diventa, per il lettore, il cocchiere di due carri quello dell’accalappiacani e quello dei cani morti, due carri che attraversano trasversalmente tutti gli scritti di Adorno e che attraversano noi stessi inducendoci la domanda: siamo fatti della stessa materia di cui sono fatti i cani? Il sentiero attraverso cui ci guida l’autore e che ci porterà a capire come i due carri siano in realtà lo stesso carro visto da due lati diversi, è un sentiero che profuma di animalismo ma con un odore completamente nuovo, passando per l’antispecismo analitico di prima generazione, osservando quello continentale di seconda e interiorizzando la riflessione fenomenologica acamporiana che sancisce il passaggio dalla “carne del mondo” al “mondo della carne”. La riflessione animalista che emerge dal testo è completamente nuova ma forte delle basi del passato antispecista, superando la necessità di inglobare antropologicamente le capacità animali nelle nostre e tralasciando riflessioni profonde ma inconcludenti; l’animale diviene, adesso, l’intermediario dell’umano metafisico e la sua presunta “povertà di mondo” non è semplice mancanza, ma assenza che si da come paradossale ricchezza in quanto dischiude la possibilità della comunicazione, contrapposta all’auto – dialogare dell’uomo attraverso la sua filosofia metafonica. Il concetto di sfruttamento inteso nella sua globalità è analizzato, ancora una volta, attravero Adorno che aveva individuato come ogni cattiveria umana (nella sua apparente diversità) è invece unificata dallo stesso uso di linguaggio3. L’immersione nell’in – umano attraverso cui ci guida Massimo Filippi è un percorso complesso, attraverso il dialogo con la filosofia, la letteratura e le neuroscienze, si figura il vero oggetto del nostro parlare: noi stessi intesi non più come “Gli animali” ma come “animali tra gli animali”, pronti a accettare quell’altro che si figura in mille modi ma che è esemplificato dolcemente dal finire di tutte le cose, la morte, proprietà necessaria e non contingente.


Nell’albergo di Adamo. La “questione animale e la filosofia”


Come già ampiamente discusso nell’introduzione i rapporti tra filosofia e questione animale sono complessi e non è facile chiarire le dinamiche attraverso cui si è sviluppata la letteratura scientifica che cerca di coniugare, o meglio, di fondere queste due categorie. In questo testo assistiamo ad un fenomeno articolato in cui dodici autori (due dei quali sono anche i curatori del testo stesso), divisi in gruppi da tre, si passano un testimone filosofico (talvolta scientifico) per discutere il loro modo di approcciarsi ai problemi inerenti alla questione animale. Leggendo il testo si ha l’impressione di partecipare ad un enorme esperimento mentale4 in cui si attraversa un albergo molto particolare. Come tutti gli alberghi che si rispettino, anche questo ha una hall (a cui si può accedere solo dopo aver letto un avviso degli albergatori); il viaggiatore (lettore) che si addentrerà in questo albergo potrà ascoltare le opinioni filosofiche di tre personaggi, Carol J. Adams, Vinciane Despret e Roberto Marchesini che avranno il compito di guidarci attraverso le stanze dell’albergo, che scopriremo poi essere stanze molto diverse tra loro ma con una vista sullo stesso mare. Le stanze del nostro albergo sono cinque, così come sono cinque gli inquilini di queste stanze; la prima stanza è abitata da Enrico Giannetto che, nonostante la veste scientifica, sceglie di raccontarci una storia che riguarda Heidegger e il Carnologofallocentrismo; inoltrandoci lungo i corridoio dell’albergo possiamo bussare nella stanza di Matthew Calarco che ci metterà di fronte al volto animale, dipenderà probabilmente dalla nostra reazione la permanenza in questa stanza… Proseguendo il nostro cammino ci imbatteremo nella terza stanza al cui centro, seduto su una sedia che sa di disperazione, troveremo Gianfranco Mormino che, quasi in un vicolo cieco, ci racconta la normale sacrificabilità dell’animale. Rimangono due stanze da visitare, nella penultima Filippo Trasatti mostra il processo filosofico del divenire – animale già esplicitato da Deleuze e, dulcis in fundo, nell’ultima stanza Zipporah Weisberg ci farà promesse mostruose. Arrivati a questo punto, probabilmente, viene voglia di fuggire. Si cercano le uscite di sicurezza… Inaspettatamente sono quattro ma tutte protette da quattro personaggi inquietanti, perché portatori di verità che potrebbero intrappolarci nell’albergo; Marco Maurizzi, Massimo Filippi, Melanie Bujok e Ralph R. Acampora ci sbarrano, ognuno, la propria porta che rappresenta per noi l’unico modo di uscire dalle nefandezze dell’albergo ma per loro la consapevolezza terribile che qualcuno in quell’albergo ci rimarrà per sempre per volere di colui che, biblicamente, ci rappresenta tutti… Adamo colui che attraverso la nominalizzazione degli animali li ha trasformati in cose per volere divino. A questo punto la tristezza del viaggiatore sembra irrimediabile ma una luce da una finestra lontana gli illumina lo sguardo… una possibilità per liberare gli inquilini dell’albergo esiste ancora e il primo passo e proprio visitare la loro prigione.


1 Ai confini dell’umano. Gli animali e la morte, Massimo Filippi, Ombre Corte, 2010


2 Nell’albergo di Adamo. La questione animale e la filosofia, Massimo Filippi e Filippo Trasatti (a cura di), Mimesis, 2010


3 L’uso del linguaggio è un aspetto fondamentale della questione animale. In generale per riassumere una questione (che ha origine almeno con Sapir – Whorf) complessa potremmo dire con D. de Kerckhove, “Il linguaggio è il software che dirige l’organismo umano. Qualunque tecnologia eserciti un influsso significativo sul linguaggio influirà necessariamente anche sul comportamento sul piano fisiologico, emotivo e mentale. L’alfabeto è come il programma di un computer, ma molto più potente, più preciso, più versatile e più globale di qualunque altro programma mai scritto. Un programma progettato per far funzionare lo strumento più potente che esista: l’uomo stesso. L’alfabeto si è fatto strada all’interno del cervello per definire le routine su cui si basa il firmware del brainframe alfabetico. L’alfabeto ha creato due rivoluzioni complementari, una nel cervello, l’altra nel mondo”. (D. de Kerckhove, Brainframes. Mente, tecnologia, mercato. Come le tecnologie della comunicazione trasformano la mente umana (1991), a cura di B. Bassi, Bologna, Baskerville, 1993, p. 39.)


4 Un esperimento mentale o esperimento concettuale (in tedesco Gedankenexperiment, termine coniato dal fisico e chimico danese Hans Christian Ørsted) è un esperimento che non si intende realizzare praticamente, ma viene solo immaginato: i suoi risultati non vengono quindi misurati, ma calcolati teoricamente in base alle leggi della fisica.


lunedì 2 agosto 2010

Nuovo articolo per l'Ateo


Ecco il mio nuovo articolo per l'Ateo: "L’Ateo virtuoso: Pierre Bayle, tributo al filosofo dimenticato". Il giornale è in vendita in tutte le librerie Feltrinelli d'Italia. Ecco l'indice, io a pag. 38

domenica 11 luglio 2010

Ralph Acampora a Bergamo: 12 Luglio, ore 15.00

Università degli studi di Bergamo
Facoltà di Scienze della Formazione
DIPARTIMENTO DI SCIENZE DELLA PERSONA
Scuola di Dottorato:

Antropologia ed Epistemologia della Complessità
Seminari su Animali fra Filosofia, Scienza e Letteratura
Lunedi 12 Luglio 2010, ore 15:00
presso la sede universitaria di: Sant'Agostino, Aula 1
Ralph Acampora :Inventionist Ethology: Sustainable Designs for Reawakening Human-Animal Interactivity
Studenti, docenti e interessati sono invitati a partecipare.

mercoledì 23 giugno 2010

Nell'albergo di Adamo. Su Mangialibri, appena sfornato!

Nell'albergo di Adamo
Leonardo Caffo
voto
I rapporti tra filosofia e questione animale sono complessi e non è facile chiarire le dinamiche attraverso cui si è sviluppata la letteratura scientifica che cerca di coniugare - o meglio di fondere - queste due categorie. Questo volume curato da Massimo Filippi e Filippo Trasatti rappresenta un fenomeno articolato in cui dodici autori (due dei quali sono anche i curatori del testo stesso), divisi in gruppi da tre, si passano un testimone filosofico (talvolta scientifico) per discutere il loro modo di approcciarsi ai problemi inerenti alla questione animale. Leggendo il testo si ha l'impressione di partecipare ad un enorme esperimento mentale (in tedesco Gedankenexperiment, termine coniato dal fisico e chimico danese Hans Christian Ørsted, è un esperimento che non si intende realizzare praticamente, ma viene solo immaginato: i suoi risultati non vengono quindi misurati, ma calcolati teoricamente in base alle leggi della Fisica) in cui si attraversa un albergo molto particolare. Come tutti gli alberghi che si rispettino, anche questo ha una hall (a cui si può accedere solo dopo aver letto un avviso degli albergatori): il viaggiatore (lettore) che si addentrerà in questo albergo potrà ascoltare le opinioni filosofiche di tre personaggi, Carol J. Adams, Vinciane Despret e Roberto Marchesini che avranno il compito di guidarci attraverso le stanze dell'albergo, che scopriremo poi essere stanze molto diverse tra loro ma con vista sullo stesso mare. Le stanze del nostro albergo sono cinque, così come sono cinque gli inquilini: la prima stanza è abitata da Enrico Giannetto che, nonostante la veste scientifica, sceglie di raccontarci una storia che riguarda Heidegger e il Carnologofallocentrismo; inoltrandoci lungo i corridoio dell'albergo possiamo bussare nella stanza di Matthew Calarco che ci metterà di fronte al volto animale: dipenderà probabilmente dalla nostra reazione la permanenza in questa stanza. Proseguendo il nostro cammino ci imbatteremo nella terza stanza al cui centro, seduto su una sedia che sa di disperazione, troveremo Gianfranco Mormino che, quasi in un vicolo cieco, ci racconta la normale sacrificabilità dell'animale. Rimangono due stanze da visitare: nella penultima Filippo Trasatti mostra il processo filosofico del divenire - animale già esplicitato da Deleuze e, dulcis in fundo, nell'ultima stanza Zipporah Weisberg ci farà promesse mostruose...
Arrivati a questo punto, probabilmente, viene voglia di fuggire. Si cercano le uscite di sicurezza: inaspettatamente sono quattro ma tutte protette da quattro personaggi inquietanti, perché portatori di verità che potrebbero intrappolarci nell'albergo; Marco Maurizzi, Massimo Filippi, Melanie Bujok e Ralph R. Acampora ci sbarrano, ognuno, la propria porta, che rappresenta per noi l'unico modo di uscire dalle nefandezze dell'albergo ma per loro la consapevolezza terribile che qualcuno in quell'albergo ci rimarrà per sempre per volere di colui che biblicamente
rappresenta tutti: Adamo, colui che attraverso la nominalizzazione degli animali li ha trasformati in cose per volere divino. A questo punto la tristezza del viaggiatore sembra irrimediabile, ma una luce da una finestra lontana gli illumina lo sguardo: una possibilità per liberare gli inquilini dell'albergo esiste ancora, e il primo passo è proprio visitare la loro prigione.

sabato 29 maggio 2010

Narcisismo. Intervista

(apparso su Agora Vox del 29 Maggio 2010)

Ho avuto il piacere di essere intervistato da Damiano Mazzotti riguardo il lavoro svolto con RifaJ. Ecco come è andata.

Puoi raccontarmi come è nato il suo amore per la filosofia?
Non è semplice rispondere a questa domanda. Ero in quarto superiore al liceo classico Cutelli di Catania e la mia insegnante di filosofia era una vecchia senza interessi, di poca cultura e di scarso valore pedagogico. Sentivo, tuttavia, che la filosofia era molto di più di quello che lei ci faceva passare. Mio padre teneva nella sua libreria alcuni libri di filosofia e, tra questi, scelsi di leggere Walden di Thoreau, Il mondo di Sofia di Gaarder e Lo zen e l’arte della manutenzione della motocicletta di Pirsig. Qualcosa dentro di me era cambiato, ero pronto per intraprendere un nuovo cammino. Quel cammino che mi ha portato poi a Milano a studiare filosofia con indirizzo logico ed epistemologico. L’amore per la filosofia analitica è nato dopo, con il mio primo esame di filosofia del linguaggio.

Come impiega il suo tempo libero e quali sono gli interessi culturali di un filosofo analitico?

Innanzitutto, va precisato che io non sono un filosofo analitico, ma ambisco ad esserlo. In questo momento studio per potermi un giorno definire tale (e speriamo di riuscirci). Il mio tempo libero è tutto per Flaminia, la mia ragazza. La Rivista Italiana di Filosofia Analitica Junior toglie molto tempo e mi è costata (a me e a tutti i ragazzi del gruppo) fatica mica da poco. Poi scrivere recensioni per Mangialibri, lavorare per Inkoj (un’altra rivista accademica), organizzare insieme ad altri il nostro seminario permanente di etica e animalismo e scrivere articoli per altre riviste sono, tutti insieme, impegni che accoppiati allo studio per la seconda laurea (il master in scienze filosofiche) di tempo ne lasciano ben poco.

Attualmente di cosa si occupa?

Mi sono laureato in Filosofia del Linguaggio con Elisa Paganini, la mia tesi prendeva in esame la formazione spontanea di una nuova lingua naturale concentrandosi, nella fattispecie, sul caso delle lingue Pidgin e Creole. Semplificando molto. Come da un protolinguaggio nato per situazioni di contatto forzato, nascano lingue potenti (Creole) quanto le altre lingue naturali umane come Italiano, Inglese e compagnia bella. Adesso sto finendo gli esami della specialistica, mi laureerò con Alessandro Zucchi. Ho proposto al mio relatore una tesi sul funzionamento logico dei condizionali e, nello specifico, su quelli che fanno uso di “Anche se...”. Sembra strano a sentirlo per la prima volta ma dietro i condizionali, ahinoi, si cela un mondo complesso di problemi e questioni logico – filosofiche. Non so ancora se accetterà il lavoro, vedremo.

La filosofia analitica potrebbe considerarsi come una specie di psicoanalisi linguistica della filosofia?

No, assolutamente. Però è comprensibile ad una prima analisi la domanda e i due termini possono essere, naturalmente, messi in relazione. Con l’espressione “filosofia analitica” ci si riferisce ad una corrente di pensiero sviluppatasi a partire dagli inizi del secolo scorso. Filosofi come Bertrand Russell, Ludwig Wittgenstein, George Edward Moore e Glottob Frege possono essere visti, di diritto, come alcuni dei padri fondatori di questo stile filosofico. Ciò che contraddistingue la filosofia analitica non è un insieme di tesi o convinzioni ma un metodo di cui alcuni capi saldi sono rintracciabili nell’argomentazione, nell’utilizzo della logica formale, nel rispetto per i risultati delle scienze naturali e nel valore del senso comune e delle intuizioni.

Quanto spazio riservate alla Filosofia della Scienza e che importanza ha questa disciplina nei confronti delle altre discipline e della società della conoscenza?

La filosofia della scienza è una disciplina che ha, come da manifesto, lo stesso spazio delle altre che compongono il complesso “puzzle” della filosofia analitica. Essa è la branca della filosofia che studia i fondamenti, gli assunti e le implicazioni della scienza, sia riguardo alla logica - matematica che alle scienze naturali, come la fisica o la chimica, sia riguardo alle scienze sociali, come la psicologia, l’economia o la giurisprudenza. L’obiettivo – complesso - della filosofia della scienza è quello di spiegare la natura prima dei concetti e delle asserzioni scientifiche. Direi dunque che l’importanza dentro quella che lei definisce, giustamente, società della conoscenza, e molta ma come spesso capita il giudizio degli incolti è deleterio; giudicando il lavoro dell’epistemologo come quello di un venditore di fumo.

La nascita della vostra rivista conferma che anche la filosofia si sta aprendo nella direzione di modelli “open source” e di contributi partecipativi sempre più sostanziosi. Mi può citare l’articolo più significativo fino a questo momento?

Ettore, io e gli altri ragazzi del gruppo abbiamo pensato sin da subito di garantire a tutti la possibilità di visualizzare i nostri contenuti in “open source” secondo il principio che diffondere la conoscenza è forse il primo vero compito del filosofo e della filosofia. Purtroppo la maggior parte delle riviste scientifiche rende i suoi contributi consultabili solo a pagamento e questo, noi delle redazione, ma credo di parlare a nomi di molti, lo riteniamo sbagliato. L’articolo più significativo… mah, io ho letto con molto piacere quello di Alessandra Galbusera dedicato a Magritte ma è una questione di gusti. Paolo Nori, scrittore che non ha bisogno di presentazioni, ci ha donato un suo pezzo. Personalmente lo consiglio a tutti.

E adesso, siccome l’Italia è diventata la Repubblica del Pettegolezzo, passo al gossip filosofico e ti chiedo cosa ne pensi di Stefano Moriggi, un filosofo della scienza quasi giovane…

Quando ho seguito il mio primo corso di Logica, il terzo modulo dedicato alla filosofia della scienza era tenuto, in parte da Giorello e in parte proprio

Moriggi. Non lo conosco abbastanza da poter giudicare e credo di non esserne neanche in grado. La mia opinione è che sia un bravo filosofo della scienza e che si dedichi con particolare attenzione alla divulgazione più che alla ricerca. Ma ripeto la mia impressione nel giudicare uno più grande e preparato di me, come dire, ha poca importanza.

Infine ti faccio la classica domanda di rito: puoi dare a nostri interlettori qualche importante anticipazione sui tuoi e sui vostri progetti futuri?

Tutti i ragazzi del gruppo di RifaJ hanno ambizioni che ci porteranno ad intraprendere concorsi finalizzati alla ricerca nel mondo dell’università e dell’editoria. La situazione in Italia non è molto buona ma siamo speranzosi. Per novembre dobbiamo finire il nuovo numero della rivista dedicata al tema “Argomentazione”. Poi ognuno di noi ha i suoi impegni, i miei sono quelli di laurearmi e preparare le carte per un dottorato, mi piacerebbe rimanere a Milano e lavorare con il mio attuale relatore. Spero inoltre che il mio attuale lavoro nelle varie riviste possa un giorno concretizzarsi in qualcosa che mi dia, perché no, anche una pagnotta da portare a casa. Poi c’è il sogno di aprire, con Ettore, una libreria anarchica con annessi, centro culturale e ristorazione vegana… ma questa è un’altra storia.