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martedì 16 novembre 2010

Non essere Dio di Vattimo

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Uno scrittore e un filosofo s'incontrano e dialogano per giorni... No, aspettate, ricominciamo. Due signori programmano la scrittura di un libro con intenti (un po'?) pubblicitari, raccolgano un po' di avventure (romanzate?) del protagonista - il filosofo - ed il risultato è un'autobiografia a quattro mani. Perché uno dovrebbe pensare di essere Dio? Leggendo il libro non si capisce ma si intuisce che non essere Dio dovrebbe implicare essere creature mortali e sofferenti che sbagliano infinite volte nel sentiero dell'esistenza. Vattimo racconta la sua vita a Paterlini che trascrive il tutto, anche se la maggior parte del testo narra gli episodi in prima persona. Veniamo a conoscenza dell'infanzia del filosofo, della guerra, delle sue esperienze da esule calabrese, del suo rapporto con un frate tomista che se lo portava in montagna a fare gli esercizi spirituali (ma a cui non ha mai confessato di essere gay). Scopriamo che le Brigate rosse lo volevano far fuori (a Vattimo, perché ricopriva, a quanto pare, una posizione fastidiosa), delle esperienze come preside di facoltà a Torino e del suo unico vanto che dice di aver sempre conservato... la libertà. A leggere attentamente il libro, analizzando il suo modo di esprimersi viene da chiedersi... Cosa intenderà Vattimo per libertà? Libertà di espressione? Libertà di filosofare? In alcuni punti il libro diventa interessante, ad esempio quando il filosofo racconta come nel 1961 tenne la prima conferenza filosofica tenuta a Torino, davanti a quelli che lui definisce i “mostri sacri” della filosofia di allora: Abbagnano, Chiodi, Guzzo, Bobbio, Pareyson etc: «Ho venticinque anni, il mio narcisismo è alle stelle»… Criptico come sempre. Uno spera che almeno quando non fa filosofia Vattimo sia chiaro, ma poi purtroppo scopriamo che Vattimo fa sempre filosofia, ovvero, è sempre poco chiaro. Leggendo Non essere Dio si trovano contraddizioni addirittura nel racconto autobiografico! Certo, si apprezza - e non poco - che un uomo che ha già raggiunto l'apice del successo scelga di mettere in piazza la sua esistenza, le sue debolezze, i trascorsi burrascosi, le paure e, infine, le grandi soddisfazioni che lo hanno portato ad essere dov'è adesso. Vattimo si sofferma - e quanta tenerezza si prova - sul 1979, anno in cui il “pensiero debole” diventa il titolo di un libro collettivo e ci dice «sembra incredibile oggi che tutti ne rifuggono come dalla peste»; per chi ha letto quel libretto sa che sarebbe impossibile non sfuggire da una tale radicalizzazione del pensiero di Heidegger, uno da cui, sicuramente, Vattimo ha imparato la chiarezza espressiva (sono sarcastico, per precisare eh). Questo libro edito da Aliberti racconta la vita di un uomo filtrata dagli occhi di un giornalista; si apprezza sicuramente la volontà di mettersi in gioco, di narrare se stessi. Ma una domanda si mostra in tutta la sua autenticità: per essere davvero liberi in un paese come questo abbiamo solo due strade, o non essere Vattimo o essere Dio?

giovedì 9 settembre 2010

Genius loci

Dopo un po' di pausa da "recensore" eccomi di nuovo on-line, su Mangialibri ovviamente

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Genius loci: il significato di questa locuzione è spesso ignorato, e viene perlopiù utilizzata da architetti per definire metaforicamente l'identità di un luogo. Francesco Bevilacqua - che ama definirsi un “cercatore di luoghi dimenticati” - imposta questo libro in modo autobiografico. Lo si capisce dalla dedica iniziale ma già il primo capitolo che narra una sua esperienza di passeggiata in mezzo ai boschi rende l'idea. Da Goethe ad una certa filosofia naturalistica è passata l'idea che la natura nella sua radice più profonda debba rimanere immacolata anche al passaggio dell'uomo. L'autore del testo ripercorre quest'idea esplorando la visone del “Genius Loci” come Dio e chiedendosi se, come e quando questa idea possa trovare spazio nel nostro tempo. La camminata per boschi assume nella visione di Bevilacqua un ruolo tra il mistico e il terapeutico, ripercorrendo concezioni simili, come quella di Neruda che considerava il bosco preludio della vita o quella di Thoreau che sull'argomento ha scritto il breve saggio Camminare...
Il libro è breve ma intenso. Una bibliografia molto esauriente raccoglie testi di filosofia come quelli di Paolo D'Angelo e testi di alta letteratura come quelli di Neruda. L'impronta autobiografica, come già detto, è presente ma non ingerente nel testo che risulta un quasi–saggio di filosofia del “buon costruire”. Le citazioni sono un po' troppo ammassate l'una sull'altra, in alcuni punti del libro si fatica a cogliere il pensiero dell'autore che sembra occupato più che altro a collezionare aforismi. Se cercate un libriccino leggero ma non banale e siete appassionati magari del pensiero che sta dietro l'eco–architettura, avete trovato ciò che fa per voi (ma senza pretese). Con questa mania del rapporto uomo–natura i libri validi sull'argomento si sono rarefatti notevolmente, districarsi tra gli scaffali non è facile. L'opera di Bevilacqua sta a metà tra la mania del parlare e il piacere del raccontare: alla vostra sensibilità personale la scelta della prospettiva.

mercoledì 23 giugno 2010

Nell'albergo di Adamo. Su Mangialibri, appena sfornato!

Nell'albergo di Adamo
Leonardo Caffo
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I rapporti tra filosofia e questione animale sono complessi e non è facile chiarire le dinamiche attraverso cui si è sviluppata la letteratura scientifica che cerca di coniugare - o meglio di fondere - queste due categorie. Questo volume curato da Massimo Filippi e Filippo Trasatti rappresenta un fenomeno articolato in cui dodici autori (due dei quali sono anche i curatori del testo stesso), divisi in gruppi da tre, si passano un testimone filosofico (talvolta scientifico) per discutere il loro modo di approcciarsi ai problemi inerenti alla questione animale. Leggendo il testo si ha l'impressione di partecipare ad un enorme esperimento mentale (in tedesco Gedankenexperiment, termine coniato dal fisico e chimico danese Hans Christian Ørsted, è un esperimento che non si intende realizzare praticamente, ma viene solo immaginato: i suoi risultati non vengono quindi misurati, ma calcolati teoricamente in base alle leggi della Fisica) in cui si attraversa un albergo molto particolare. Come tutti gli alberghi che si rispettino, anche questo ha una hall (a cui si può accedere solo dopo aver letto un avviso degli albergatori): il viaggiatore (lettore) che si addentrerà in questo albergo potrà ascoltare le opinioni filosofiche di tre personaggi, Carol J. Adams, Vinciane Despret e Roberto Marchesini che avranno il compito di guidarci attraverso le stanze dell'albergo, che scopriremo poi essere stanze molto diverse tra loro ma con vista sullo stesso mare. Le stanze del nostro albergo sono cinque, così come sono cinque gli inquilini: la prima stanza è abitata da Enrico Giannetto che, nonostante la veste scientifica, sceglie di raccontarci una storia che riguarda Heidegger e il Carnologofallocentrismo; inoltrandoci lungo i corridoio dell'albergo possiamo bussare nella stanza di Matthew Calarco che ci metterà di fronte al volto animale: dipenderà probabilmente dalla nostra reazione la permanenza in questa stanza. Proseguendo il nostro cammino ci imbatteremo nella terza stanza al cui centro, seduto su una sedia che sa di disperazione, troveremo Gianfranco Mormino che, quasi in un vicolo cieco, ci racconta la normale sacrificabilità dell'animale. Rimangono due stanze da visitare: nella penultima Filippo Trasatti mostra il processo filosofico del divenire - animale già esplicitato da Deleuze e, dulcis in fundo, nell'ultima stanza Zipporah Weisberg ci farà promesse mostruose...
Arrivati a questo punto, probabilmente, viene voglia di fuggire. Si cercano le uscite di sicurezza: inaspettatamente sono quattro ma tutte protette da quattro personaggi inquietanti, perché portatori di verità che potrebbero intrappolarci nell'albergo; Marco Maurizzi, Massimo Filippi, Melanie Bujok e Ralph R. Acampora ci sbarrano, ognuno, la propria porta, che rappresenta per noi l'unico modo di uscire dalle nefandezze dell'albergo ma per loro la consapevolezza terribile che qualcuno in quell'albergo ci rimarrà per sempre per volere di colui che biblicamente
rappresenta tutti: Adamo, colui che attraverso la nominalizzazione degli animali li ha trasformati in cose per volere divino. A questo punto la tristezza del viaggiatore sembra irrimediabile, ma una luce da una finestra lontana gli illumina lo sguardo: una possibilità per liberare gli inquilini dell'albergo esiste ancora, e il primo passo è proprio visitare la loro prigione.

mercoledì 2 giugno 2010

Terrorismo e Rivoluzione

Avviso agli studenti - Terrorismo o rivoluzione
Sergio Ghirardi
Leonardo Caffo
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“L'istruzione scolastica appartiene a gruppi affaristici […]. Resta da sapere se allievi e professori, dal momento che la gestione di un universo in rovine alla quale li si invita non promette nulla di buono, si lasceranno ridurre alla funzione di meccanismi lucrativi senza scommettere sull'ipotesi di imparare a vivere anziché economizzarsi”. Lasciatemelo dire: ci vogliono i coglioni per definirsi liberi pensatori, per campare di stenti, per non fare compromessi, per rinunciare ad una famiglia... per sacrificare la propria esistenza a beneficio di un'idea. Per essere liberi. “Molti hanno deciso di non lasciarsi più consumare da un'economia che se ne infischia della loro salute e della loro intelligenza”...
Raoul Vaneigem è uno di questi, uno con i coglioni insomma. Scrittore libertario belga ed esponente di spicco del movimento Situazionista (oltre che promotore del Maggio francese). Il libro mette insieme due scritti di questo libero pensatore: la critica al mondo capitalistico è radicale, lo slancio poetico è assoluto, perché un'assoluta volontà rivoluzionaria permeava l'aria del '68: la fine di un'epoca, l'inizio di un mondo. Un mondo che, al contrario delle speranze di Vaneigem, ha solo fortificato i suoi presupposti. Leggere questo libro è a tratti commovente, come commovente è l'enorme cultura di quest'uomo educatosi con la sola forza della sua tenacia, l'ostinazione ad evitare il compromesso, a lottare per gli altri. L'istruzione è in mano a dinosauri militarizzati, “Se i governi privileggiano l'allevamento intensivo di studenti consumabili sul mercato, allora i principi di una sana gestione prescrivono di stivare nello spazio scolastico più ridotto la quantità massima di teste modellabili dal numero minimo di personale possibile. […] Noi non vogliamo più una scuola in cui s'impara a sopravvivere disimparando a vivere”. Quanto è vero... quanto è triste... Le nostre scuole insegnano la dipendenza e mai l'autonomia; dipendenza dal denaro, dipendenza da un titolo (Dott. Prof. Ecc...), dipendenza da uno status sociale. Tutto questo ha bloccato il naturale sviluppo della libertà e delle intelligenze umane: ciò che propone Veneigem è una disgiunzione ben precisa, che ha la caratteristica di essere esclusiva. Terrorismo o rivoluzione? Io il primo non lo voglio, e credo neanche voi. Direi che è facile capire che cosa dovremmo fare.

giovedì 27 maggio 2010

Basaglia e le Supercazzole!

Franco Basaglia e la Filosofia del '900
Leonardo Caffo
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I primi manicomi furono costruiti da monaci, dentro ci stava chiunque: da intellettuali scomodi a donne emancipate. Regolati secondo la sanità provinciale e gestiti da psichiatri e infermieri - rigorosamente di sesso maschile - i manicomi nel novecento erano costruiti in periferia secondo un'antica usanza, quella secondo la quale il terribile va nascosto al cittadino così come accadeva con i lager durante il nazismo e oggi con i macelli d'animali. Questi remoti posti orribili avevano al loro ingresso un giardino, più in là tra il verde c'erano i padiglioni. In quello più vicino alla strada c'era l'edificio di accoglienza; man mano che ci si allontanava dalla strada gli edifici ospitavano persone con problemi di gravità via via maggiore. Dentro i manicomi stavano i matti, praticamente resi matti però il più delle volte dal manicomio che li teneva dentro perchè erano teoricamente matti. Un triste paradosso che faceva girare la testa, oltre che le balle... Che poi la parola "matto" - oggi la Psichiatria l'ha dimostrato - non voleva dire neanche nulla. Nel 1978, in Italia, la Legge 180/78 di Franco Basaglia regolò la chiusura dei manicomi e furono quindi istituite nell'ospedale generale dei reparti di Psichiatria, case d'aiuto e supporto alle famiglie, centri diurni e ambulatori gestiti da psichiatri, psicologi, infermieri, assistenti sociali. Basaglia ebbe insomma il merito di salvare vite e dignità di migliaia di persone, di riabilitarne l'esistenze e di sensibilizzarci tutti facendoci capire che nascere con un problema psichiatrico o sviluppare in seguito un disturbo psicopatologico è una cosa che potrebbe capitare a chiunque, a partire da noi stessi e dai nostri figli...
Il 10 Dicembre 2008 si è tenuta a Milano, presso l'Università degli studi, una conferenza celebrativa dei 30 anni della Legge Basaglia. In questa occasine filosofi e intellettuali si sono riuniti intervenendo, ognuno a suo modo, sull'argomento. Il libro di cui ora leggete la recensione è il contenitore degli atti di quella giornata. In ambito accademico la dignità è poca, si sa, e tutto diventa occasione per pubblicare, parlare ed apparire. Questo testo si allinea perfettamente a questo andazzo generale. Gli interventi hanno titoli che farebbero ridere Basaglia che, con quel suo stile da cauto gentiluomo, non avrebbe neanche concepito che si parlasse di una sua fenomenologia o che si cazzeggiasse sul suo rapporto con Freud, uno che ha definito fino all'ultimo l'omossessualità come una malattia frutto delle devianze personali e sociali. Basaglia era uno che aveva capito, punto. I suoi occhi avevano incrociato troppe volte quello dei “matti” e ne avevano colto la poesia, frutto di una normalità usurpata dalla società stessa che pretendeva di guarirli. Questo libro è un insieme di supercazzole e il dvd allegato - con il quale pomposamente si diachiara di voler ricostruire "un filo rosso, della durata di poco più di trenta minuti, all’interno del movimento di pensiero dell’intera giornata" - è buono solo come portabicchiere.

domenica 2 maggio 2010

Recensione al nuovo libro di Giorgio Galli


Apparsa su Mangialibri
Leonardo Caffo
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Intrecciare psicologia e politica vuol dire tutto e vuol dire niente. La psicologia ha come oggetto lo studio dell'uomo da parte del uomo, la politica ha come oggetto l'amministrazione della società dove l'uomo stesso è inserito. Sembrerebbe naturale guardare alle due sfere come intrecciate o, almeno, influenzate reciprocamente. Nel 1950 Car Gstav Jung introduce il temine "sincronicità" per descrivere una connessione fra eventi, psichici o oggettivi, che avvengono in modo sincrono, cioè nello stesso tempo, e tra i quali non vi è una relazione di causa-effetto ma una evidente comunanza di significato. La sincronicità è relativa quindi alle "coincidenze significative"…
Le coincidenze significative è anche il titolo del nuovo libro di Giorgio Galli che, esplorando la storia italiana ed internazionale, rintraccia rapporti tra fatti che, se pur reciprocamente influenzati, sono svincolati da un rapporto di causa ed effetto. La cronaca, gli eventi politici, le guerre, i conflitti offrono numerosi esempi di coincidenze; trovare un nesso che lega scientificamente la maggior parte di questi eventi è impossibile, eppure la nozione di “sincronicità” jungiana calza a pennello; non vanno cercate spiegazioni razionali perché «La causalità è solo un principio, e la psicologia non può venir esaurita soltanto con metodi causali, perché lo spirito (la psiche) vive ugualmente di fini». Nel lavoro di Giorgio Galli coincidenze e politologia sono magistralmente abbinate attraverso incursioni nelle vicende di Matteotti, Mussolini e Moro, attraverso presidenti degli Stati uniti apparentemente lontani come Obama e Reagan. Un esempio di “coincidenza significativa” impressionante vale la pena di riportarlo per intero: “Era l’11 Settembre. Distolti dalla loro missione ordinaria da piloti decisi a tutto, gli aerei sprofondano nel cuore della metropoli, risoluti ad abbattere i simboli di un potere politico detestato. E’ un attimo: le esplosioni, le facciate che deflagrano, i crolli in un fracasso infernale, i sopravvissuti atterriti che fuggono imbiancati dalle macerie. E i media che diffondono la tragedia in diretta…” A cosa vi fa pensare? Al contrario di tutto ciò che immediatamente possono trasmettere queste parole, quello che raccontano, veramente, non è la tragedia di New York, ma quella di Santiago del Cile, l’11 Settembre del 1973. “11” – “Settembre”: ecco un esempio di coincidenza significativa. Galli interpreta davvero originalmente la nozione di Jung e la applica alle sue conoscenze da Politologo; il risultato è un libro dal duplice interesse psicologico e societario che, personalmente, consiglio a tutti. Rinfresca la memoria storica, invita a riflettere e istruisce su tante piccolezze ai più nascoste.

lunedì 12 aprile 2010

Indipendentemente da tutto, io l'ho intervistata.

Da Mangialibri: http://www.mangialibri.com/node/6193
Leonardo Caffo

Margherita è la prova vivente che si possono fare mille cose contemporaneamente, e tutte bene. Giornalista, scrive di salute sul Corriere della Sera, è un'esperta di Bioetica e di tecnica della divulgazione scientifica, e last but not least saggista di successo. L'ho incontrata alla libreria Mondadori di Piazza Duomo a Milano, dove presentava il suo ultimo libro sul tema delle malattie rare.
Hai scritto un libro che si intitola Mucca Pazza concentrandoti sulle conseguenze per la salute dei consumatori. Pensi che ridurre o addirittura eliminare il consumo della carne possa risolvere problemi come questo o come la più recente aviaria?
No, anzi. Il complesso sistema creato dalla Mucca Pazza ha solo contribuito al business della carne e lo stesso vale per l'aviaria. Il problema centrale sta nella cattiva informazione e non nell'oggetto di consumo. Sul consumo della carne in generale esistono grandi personaggi, come Veronesi, che si schierano contro ma non credo abbia nulla a che fare con questioni come Mucca Pazza e Aviaria.

Come esperta di Bioetica cose ne pensi della questione animale? La Bioetica è solo “antropoetica” o può accogliere nella sua estensione qualsiasi forma vivente?
Assolutamente. Oggi più che mai la Bioetica è aperta a qualsiasi forma vivete siano questi cavalli, cani, delfini etc... La riflessione sulla vita coinvolge un target molto più ampio del solo genere umano.

Oltre a scrivere di Bioetica, salute e medicina sul corriere, ti occupi di tecnica della comunicazione scientifica. Credi che l’Italia sia davvero rallentata nel progresso scientifico dalle ingerenze del Vaticano? Oppure credi che questa domanda nasca solo da una propaganda antiecclesiastica?
Mi sembra ovvio vedere nel Vaticano un ostacolo al progresso scientifico. Credo che la stessa collocazione geografica della santa sede in Italia abbia bloccato l'evolversi della tecnica in generale e della medicina in particolare. Basti pensare alle occasioni perse con le cellule staminale o la ricerca embrionale.

Il 28 Gennaio 2005 scrivi sul corriere un articolo che s’intitolava cosi: “Il cattolico: non sono sicuro che ci sia un diritto alla vita. Il laico: la scelta è del padre” (peraltro reperibile sul sito italiano per la Filosofia). Qui discutevi quanto sia legittimo scegliere o meno per la vita di un altro anche in relazione alle malformazioni. Lucrezio, riprendendo Epicuro, diceva che la vita non sempre va conservata. Tu cosa ne pensi?
Sono ovviamente d'accordo con Lucrezio. Nonostante questo nessuno ha il diritto di togliersi la vita come e quando gli pare, familiari, amici e parenti ne soffrirebbero troppo. Il suicidio può risultare un atto egoista. Comunque d'accordo su un punto, la vita non sempre va conservata.

Perché interessarsi di Bioetica e perché, nello specifico, di malattie rare? Qual è il reale riferimento del “noi” nel tuo libro Noi, quelli delle malattie rare? Ti riferisci anche ai familiari dei malati?
Le malattie rare sono fondamentali per uno studioso di Bioetica. La storia di queste persone e commovente e spesso ignorata. Il libro è una rivendicazione rispetto al precedente Siamo solo noi. Ovviamente come hai capito, mi riferisco anche alle famiglie, che svolgono un ruolo fondamentale.

Che differenza c'è nello scrivere libri e nello scrivere articoli?
Nel mio caso nessuna! Sono una giornalista e rimango tale in qualsiasi contesto scrivo. Ho a cuore la divulgazione delle informazioni e svolgo sempre questo compito.

Un’ultima domanda. Tra i lettori di Mangialibri e in generale tra i lettori di libri una gran parte sono giovani. Pensi che l’Italia possa offrire qualcosa a questi giovani che vogliono lavorare nel campo della cultura e della diffusione della conoscenza? Ti va, a tal proposito, di fornirci anche una tua riflessione sull’università italiana?
Oggi voi giovani dovete sfruttare l'on-line abbandonando pian piano il cartaceo che invece ha caratterizzato la mia generazione, quella dei cinquantenni. Una testata giornalistica on-line è la nuova frontiera dell'informazione. Per quanto riguarda l'università: ragazzi, scegliete qualcosa di pratico e accantonate le vostre passioni, altrimenti scordatevi di lavorare. E' triste, ma questa è l'Italia.

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