“Mi appello alla magistratura romana e al Ministro della Giustizia (ma credo non ce ne sia bisogno) affinché non facciano assolutamente nulla contro il gruppo 'A morte Marco Travaglio'. Il diritto all'idiozia è sacro e va garantito a tutti”. Con queste parole Marco Travaglio commenta il gruppo Facebook che si augura la sua morte. Diversa la reazione della politica che in questi giorni è insorta per le minacce al premier del gruppo “Uccidiamo Berlusconi”.
Anche ieri non sono mancate le polemiche e le prese di posizione. Si è fatto sentire il ministro Rotondi “Le campagne di odio portano alle campagne di morte”, e il ministro Frattini “Il rischio è quello degli anni Settanta, quando la violenza delle parole si è poi tragicamente trasformata nella violenza delle armi”. Neanche il PD è rimasto a guardare:“Égiustochecisiailmassimo livello di attenzione” ha detto Enrico Letta; “Al gruppo ‘Sopprimiamo Franceschini’ sono iscritti in 2500” fanno notare dallo staff del segretario Pd.
Eppure in questi ore si ha notizia di gruppi su Facebook che vogliono uccidere tutto e tutti. Citiamo solo alcuni obiettivi: Bassolino, Capezzone, Gelmini, ma anche Federico Moccia, Giampiero Mughini, il Papa, la cantante Arisa, il pilota Hamilton, il giornalista Enrico Varriale, Anna Tatangelo, Britney Spears, Josè Altafini, il gruppo “emo” i Dari e anche quel vecchio arnese di Topo Gigio.
Insomma, le minacce Facebook appaiono cretinerie belle e buone. Eppure, tutti coloro che fomentano e alimentano questo tipo di campagne stanno facendo un pessimo servizio alla rete. Non a caso, proprio ieri, Gabriella Carlucci, già autrice di una legge che intende vietare “la pubblicazione in maniera anonima in rete di contenuti in qualsiasi forma” (quindi anche banali commenti) ha lanciato un allarme: “coprendosi dietro l'anonimato molti utenti commettono reati gravissimi” ha dichiarato senza aggiungere ulteriori spiegazioni. Non solo. É tornato a farsi sentire anche il senatore Udc D'Alia, già conosciuto per la sua proposta di equiparare ogni pubblicazione su Internet a delle testate giornalistiche. Ieri ha rilanciato la sua proposta: “bisogna mettere mano a un provvedimento organico di disciplina della rete”.
Ma il protagonista della giornata è stato Totò Cuffaro, ex governatore della Regione Sicilia dimessosi dopo la condanna in primo grado per favoreggiamento ad alcuni mafiosi. Cuffaro ha sparato nel mucchio: ha denunciato tutti coloro che avevano commentato un video su YouTube. Il video, uno del più visti in lingua italiana, è uno spezzone del famoso “ponte televisivo” tra Michele Santoro e Maurizio Costanzo nel 1991. In studio era presente contro Giovanni Falcone contro il quale l'allora democristiano Cuffaro si scagliò violentemente: “Avete dimenticato di dire che un giudice corrotto ha costruito un'intera storia su un pentito volgare solo perchè serve al Nord” il suo antico sfogo tra i fischi. Ora Cuffaro dice che in quella puntata “rivolse una critica verso l’operato di un singolo magistrato, persona diversa da Giovanni Falcone”. Non la pensa così il milione di cittadini che ha visto il video su YouTube e il vasto popolo che ha lasciato quattromila commenti.
Al loro fianco scende Antonio Di Pietro: “L'Italia dei Valori – scrive sul suo blog – mette a disposizione dei commentatori denunciati da Cuffaro un pool di avvocati, una sorta di class action”. Ma nonostante prese di posizioni come quelle di Di Pietro, tira una brutta aria sulla libertà in rete. Il web si è popolato molto negli ultimi anni: i più giovani, ma non solo, hanno trovato uno spazio di espressione e di informazione indipendente. Non possono i deliri di alcune decine di cretini minacciare la libertà di tutti. E lo dicono chiaramente molti utenti che stanno ripubblicando ovunque il video di Cuffaro: la rete non si tocca.
da Il Fatto Quotidiano n°26 del 23 ottobre 2009
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